
Inizio con questo articolo una nuova sezione del blog dedicata allo sviluppo dell’architettura monastica e di quella degli ordini religiosi nei secoli. A questo tema, che mi è molto caro, avevo già dedicato qualche post in passato (vedi Teatini: piccolo ordine, grandi idee/Theatins: small order, great views./Monte Oliveto style: tre abbazie ricche di arte e storia/Monte Oliveto style: three Italian Abbey rich for art and history /Roma: le vertigini di una prospettiva. Sant’Ignazio e i Gesuiti. /San Carlo alle Quattro Fontane a Roma: un architetto, una sfida, un sogno, una missione…) ma me ne vorrei occupare ora in maniera più dettagliata con uno sguardo particolare a quanto prodotto negli ultimi due secoli.
Siamo abituati a pensare alle abbazie come a dei luoghi antichi, dagli spazi immutabili, codificati che poco lasciano spazio all’innovazione. Invece l’architettura monastica, specialmente quella legata alla tradizione cattolica, è sempre stata in continua evoluzione, aggiornando e rielaborando uno schema codificato nel Medio Evo. Ogni epoca ha trovato nelle abbazie un interessante spazio su cui esercitare le proprie innovazioni. Nel medioevo erano gli stessi monaci a essere i costruttori dei propri spazi. Erano in gran parte anonimi, abili riproduttori di forme e decori che avevano assimilato nella propria abbazia “madre” e che riproducevano poi, talvolta con numerosi adattamenti, nelle nuove fondazioni “figlie”. Ci sono quindi sempre stati monaci o frati architetti, ma è solo con il Cinquecento che alcuni di loro emergono per personalità, firmando i propri progetti pur nel rispetto della prioritaria appartenenza all’ordine religioso. Ci sono architetti gesuiti, barnabiti, scolopi, che fanno proprie le nuove forme del Rinascimento e del Barocco. A questo fenomeno rimane però estraneo il più antico e diffuso ordine religioso, quello benedettino, che, quando rinnova le proprie antiche fondazioni, preferisce affidarsi ad architetti laici, spesso di grande fama, specialmente nei Paesi di area tedesca (Balthasar Neumann, Fischer, Santini Aichel).

photo: https://newchurcharchitecture.wordpress.com/

Passata la tempesta successiva alla Rivoluzione Francese, passati gli anni delle soppressioni varate dai governi “liberali”, il movimento benedettino vive, tra la fine del XIX secolo e i primi anni del XX secolo, un momento di rinnovamento e di riorganizzazione che porta anche all’edificazione di nuovi edifici religiosi che sostituiscano quelli andati distrutti durante la Rivoluzione Francese e i torbidi anni successivi. Nascono le congregazioni nazionali (vedi: Chi sono i Benedettini, parte 2) che danno impulso a nuove fondazioni locali, si recuperano le antiche liturgie, si studia il canto gregoriano ( vedi Solesmes), si creano scuole artistiche innovative ( vedi I monaci pittori di Beuron) favorite dall’accesso all’ordine di giovani con alle spalle studi accademici. Tra questi “nuovi monaci” ne ho scelti due, con una vocazione simile, l’architettura, che li porterà a creare nuovi modi di pensare agli spazi per la vita comunitaria senza stravolgere quel legame con le proprie origini che è fondamentale per la spiritualità benedettina.

Il giovane Paul Bellot, nato a Parigi nel 1876, dopo aver studiato alla École des Beaux-Arts e aver conseguito la laurea nel 1900, decide di entrare nel monastero di Solesmes, che era in quegli anni un vero punto di riferimento per molti giovani intellettuali cattolici francesi. Sono anni difficili per la giovane comunità (pur essendo stata fondata nel 1010 l’abbazia era tornata in vita solo nel 1833) che l’ispirato dom Gueranger aveva fondato sulle rive della Sarthe. La comunità benedettina è infatti costretta nel 1901 dalle leggi punitive emanate dal governo francese ad abbandonare la propria sede e a recarsi in esilio in Inghilterra. Ma proprio l’esperienza di esilio inglese e il conseguente approdo della comunità sull’isola di Wight permetterà al giovane dom Bellot di mettere in pratica le proprie idee innovative. La sua prima opera come architetto è l’abbazia olandese di Oosterhout ma è proprio con il complesso inglese di Quarr, sull’isola di Wight, che dom Bellot si impone come innovatore del pedissequo stile neogotico che proprio in Inghilterra si era imposto in epoca vittoriana

Quello in cui il monaco architetto crede è uno stile di rinnovamento conservativo basato sulla rivalutazione del mattone e sull’introduzione del cemento per attualizzare le forme del gotico tradizionale. Bellot inizia da Quarr un percorso molto ricco e in continuo progresso (basta confrontare le due immagini qui proposte), che ne farà non solo uno dei principali interpreti dell’architettura religiosa di inizio XX secolo ma anche uno dei suoi più apprezzati teorici (i suoi discepoli daranno vita a un movimento chiamato “bellotisme”!). L’opera di Bellot si stacca nettamente dalle contemporanee chiese monastiche inglesi (Ampleforth e Downside) più vicine a un canone gotico riconosciuto e ingloba semi di modernismo che verranno poi sviluppati nelle sue opere successive in Francia ma soprattutto in Canada, dove si trasferisce e dove edifica una delle più interessanti abbazie del continente americano, quella di saint Benoit du Lac. Muore a Montreal, dove lavora anche al Santuario Nazionale di saint Joseph, nel 1944.
Per saperne di più e avere un panorama completo delle sue opere vedi il sito dombellot

ph. maraivall.se
Se padre Bellot era stato un inventore nella conservazione ben più geniale e sorprendente è l’opera del monaco architetto, filosofo e teorico dell’arte olandese Hans van der Laan. Figlio e fratello di architetti, nasce a Delft nel 1904 e frequenta la Technische Hoogeschool della sua città natale in cui si era formata, sotto la guida del professor Granpré Molière, una scuola artistica (nota appunto come Scuola di Delft), che propugnava un ritorno alla purezza dello stile delle chiese cristiane primitive. A differenza di Bellot van der Laan, a causa anche di una salute cagionevole, non riesce a completare gli studi e decide di entrare nell’ordine benedettino nell’abbazia di Vaals, presso il confine tedesco, nel 1927. Qui il giovane novizio ha modo di occuparsi anche di questioni molto umili e pratiche e, e questa sua visione “dall’interno” lo porta a ripensare l’estetica monastica partendo non dalle strutture ma dagli oggetti di uso quotidiano per la liturgia. Gli esiti sono talmente sorprendenti da essere diventati oggetto di studio, in tempi recenti, di molte riviste di architettura del mondo. La sua visione architettonica risente di quella ricerca di purezza e semplicità formale che era alla base dei suoi studi e che lo porta a sviluppare volumi basati su forme geometriche ortogonali, in cui grande importanza ha la luce, divenuta elemento simbolico e funzionale.

Realizza solo una decina di progetti , alcuni anche nell’ambito dell’architettura civile, ma ognuno di loro è, a suo modo, un piccolo capolavoro. L’architetto/monaco Hans van der Laan è stato anche uno dei principali teorici dello spazio architettonico, non solo in ambito monastico. La sua passione per la matematica lo porta a ricercare il rapporto tra il “numero plastico” (una particolare formula tridimensionale) e le costruzioni. Il suo stile preferisce i materiali lasciati grezzi e enfatizza le forme, specialmente quelle degli arredi liturgici in cui utilizza anche laccature in grigio in luogo del tradizionale legno, e il rapporto con la luce sviluppato sia nella scelta di fonti luminose essenziali sia nell’uso ritmico di finestre. Tra i suoi progetti in ambito monastico, oltre all’abbazia di Vaals in cui l’architetto viveva, segnalo la chiesa e gli edifici dell’abbazia femminile di Mariavall presso Tomelilla in Svezia, uno spazio molto affascinante, che propone una visione nuova del concetto tradizionale di coro monastico.
Per maggiori informazioni sulla sua teoria e sulle sue opere: fondazione vanderlaan
