Una piccola curiosa chiesa, un geniale progetto architettonico, un ordine religioso molto particolare… Nel cuore di Roma, San Carlino alle Quattro Fontane è un piccolo gioiello di architettura e uno dei pochi conventi rimasti all’ordine dei Trinitari che nel Medioevo svolgeva missioni umanitarie nel Mediterraneo ma… al contrario.
Sarà perché nelle mie vene scorre del sangue ticinese ma ho sempre avuto una grande ammirazione per Francesco Borromini, il più geniale interprete del barocco romano che era nato a Bissone, vicino a Lugano nel 1599, e che insieme molti altri suo conterranei contribuì a cambiare il volto della città dei papi. Tra tutti i progetti di Borromini quello che però mi ha sempre affascinato è il conventino di san Carlo alle Quattro Fontane. Borromini si cimentò qui con delle dimensioni davvero ridotte (si dice che andasse molto fiero di aver ricavato una chiesa nello spazio utilizzato dal suo rivale Bernini per uno dei pilastri che sorreggono la cupola di san Pietro) e riuscì a creare un tale movimento di forme e spazi da far apparire tutto come più grande e dilatato.

I lavori di trasformazione durarono dal 1634 al 1638 e il risultato dell’intervento borrominiano è uno spazio straordinario, ovale, in cui il sapiente gioco architettonico adottato dall’architetto ticinese inganna sulle reali proporzioni, facendo sembrare la chiesa molto più grande di quanto in realtà non sia. Difficile infatti staccare lo sguardo dal soffitto, dove la fantasia dell’architetto ha creato una splendida cupola a lacunari. Lo stesso discorso vale per il chiostro, ornato da un piccolo pozzo, anch’esso su disegno del Borromini. Pur essendo stretto e lungo, si dilata per l’uso delle colonne e di una loggia che corre al livello superiore. Si deve al Borromini anche il refettorio, ora adibito a sagrestia. Queste sono le uniche parti visibili del complesso, oggi in gran parte adibito a collegio dell’Ordine per studenti di teologia, ma riescono egualmente a dare un significativo esempio di come anche in epoca barocca si potessero edificare complessi conventuali capaci di trasmettere emozioni, rielaborando in maniera fantasiosa ma formalmente ineccepibile il classico schema conventuale consolidato da secoli.

Ma oltre al convento è interessante raccontare la storia dei suoi proprietari, i Frati Trinitari, che nel Medioevo erano stati fondati con la missione di liberare schiavi cristiani prigionieri dei musulmani negli allora ricchi regni Nord Africa. Per far questo organizzavano delle vere e proprie “spedizioni umanitarie” per riscattare e liberare i prigionieri usando talvolta se stessi come oggetto di scambio. L’ordine oggi è tutt’altro che florido come vocazioni ma ha saputo indirizzare la sua missione invertendo il polo dell’azione e impegnandosi nell’assistenza sociale e alla liberazione delle nuove schiavitù. Il fondatore dei Trinitari era un cavaliere provenzale, Giovanni de Matha, spirito inquieto, continuamente combattuto tra l’ideale cavalleresco, la vita universitaria e il bisogno di purificazione. Giovanni si ritirò in solitudine per provare un’esperienza di vita eremitica fino a quando, la notte del 28 gennaio 1193, un sogno gli rivelò il suo destino. Due schiavi, uno bianco e uno nero, lo invitavano a fondare un nuovo istituto per riscattare tutti i cristiani caduti in schiavitù o per soccorrere tutti coloro che erano tormentati e rischiavano di perdere la fede. Fu un sogno talmente vivo e dettagliato da suggerire a Giovanni persino l’abito che avrebbero dovuto indossare i suoi seguaci: un abito bianco con una croce rossa e azzurra. Con questa veste Giovanni cominciò a elemosinare per raccogliere i fondi necessari al riscatto e iniziò ben presto a radunare attorno a sé alcuni seguaci che condividevano la sua missione. Iniziarono quindi le spedizioni dei primi frati sulla costa dell’Africa e non furono pochi quelli che offrirono la propria persona in cambio dei prigionieri. Giovanni intanto viaggiava per tutta Europa, fondando ovunque nuovi conventi. Questo strano apostolo morì proprio a Roma, presso il convento-ospedale di San Tommaso in Formis, dove venne anche sepolto.
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