Alle origini del monachesimo italiano (Discovering the sources of Italian monasticism)

Li chiamiamo semplicemente monaci, qualche volta erroneamente frati, ma i Benedettini sono in realtà un grande e complessa famiglia, fatta di tante Congregazioni, in genere legate alla nazione di appartenenza delle abbazie. In Italia però le Congregazioni sono legate a sei luoghi dove nacquero nel Medioevo altrettante famiglie religiose che ancora oggi esistono e ancora li abitano. Alcuni senza dubbio li conoscete, altri invece vi suoneranno nuovi. Per me parlarvene è un ritorno alle origini perché proprio al monachesimo italiano erano dedicati i miei primi libri. La terza puntata dell’Atlante dopo città d’Europa e Asia.

ABBAZIA DI MONTECASSINO
Congregazione Cassinese

Troncata rinvigorisce, recita un motto benedettino riferendosi alla quercia, uno dei simboli dell’Ordine e tale motto mi pare adatto a sintetizzare la lunga e travagliata storia di Montecassino, la culla dell’Ordine benedettino, il tronco di quella quercia i cui rami tanto floridi e diversi hanno popolato tutto il mondo. Attraverso le continue invasioni, le ricorrenti distruzioni, le crisi e le successive rinascite, Montecassino è il simbolo concreto della potenza spirituale di un movimento che ha saputo rinascere nei secoli, ritrovando sempre in questo santuario il centro motore della propria esistenza. È certo che Benedetto, quando vi si trasferì dal monastero di Subiaco (vedi sotto), non avesse alcun progetto di fondazione che andasse al di là dell’organizzazione della piccola comunità di monaci che aveva occupato il sito di un antico santuario pagano che sorgeva sul monte che sovrasta Cassino. Malgrado queste precisazioni filologiche, non si può fare a meno di considerare Montecassino come la casa-madre dell’intero Ordine, un luogo venerabile e martire, unico al mondo nella sua gloria e nel suo permanente dolore. Distrutta dai Longobardi, dai Saraceni, dai rivoluzionari francesi ha sempre saputo riprendersi. Ricostruita, speriamo definitivamente, dopo i tragici avvenimenti del 1944,  è oggi tornata a essere un simbolo vivente di vita monastica. Non ci si aspetti però di trovare a Montecassino edifici ricchi di storia, mistici o suggestivi: l’enorme quadrilatero, che domina la valle dall’alto della collina, è un bianco insieme di palazzi, cortili, chiostri di stile prevalentemente settecentesco, ricostruiti nel dopoguerra sul modello degli originali. Logge e colonnati ne illeggiadriscono il profilo ma, a differenza di altri monasteri illustri, questo cenobio emana soprattutto un’aura di gelida austerità, una sensazione di monumentale rispetto, il rispetto dovuto alla presenza delle spoglie del Santo Fondatore, che neppure i visitatori che ogni giorno risalgono la collina riescono in alcun modo ad attenuare. Non tutte le parti del complesso sono normalmente accessibili anche se quanto è concesso è più che sufficiente a farsi un’idea della sua grandiosità. Da notare è soprattutto la scenografica successione dei chiostri, che comunicano tra loro con ripide scale, permettendo belle viste a ritroso sulla valle e la chiesa da dove si scende al vero “santuario benedettino”, la cripta in cui sono conservate le spoglie di Benedetto e della sorella Scolastica. E’ un ambiente a suo modo sorprendente, con un’interessante decorazione pittorica, che potremmo definire art nouveau spirituale, opera dei monaci-pittori della scuola di Beuron, sviluppatasi in Germania nei primi anni del Novecento.

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Montecassino Abbey cloister. ph.Mattis

MONASTERI DI SANTA SCOLASTICA E DEL SACRO SPECO DI SUBIACO
Congregazione Sublacense

Quando il giovane Benedetto raggiunse la regione di Sublacum, reduce da una dura esperienza eremitica nella località di Affile, il paesaggio doveva essere assai diverso da come lo vediamo oggi. La località solitaria e deserta, ricca di acque che si raccoglievano in tre laghi artificiali prima di convogliarsi nell’Aniene, ospitava i ruderi della villa di Nerone ed era il luogo ideale per costituire una prima comunità di monaci. Spesso in fatti, ai primordi del monachesimo i requisiti necessari alla fondazione di un monastero erano la presenza di acqua, l’isolamento e dei ruderi da cui ricavare materia prima per edificare i nuovi edifici. Era un gruppo spontaneo di fratelli, legati più alla figura carismatica di Benedetto che all’osservanza di una regola, un avamposto di un’organizzazione che si sarebbe perfezionata solo a Montecassino (vedi sopra).
Dei dodici (o tredici, le fonti sono incerte a riguardo) monasteri fondati dal Santo in questa località, solo due sono sopravvissuti al passare dei secoli: il grande cenobio di Santa Scolastica, dedicato alla sorella del Santo, e il suggestivo eremo del Sacro Speco che lo sovrasta, edificato sulla grotta in cui il Santo si ritirava in meditazione. Sono due edifici assai diversi tra loro e in qualche modo complementari, retti da un unico abate e legati dal ricordo del fondatore.
Subiaco dà anche il nome a una delle più grandi congregazioni benedettine, detta Sublacense  ed è una delle “capitali” del Monachesimo mondiale. Osservando rapidamente questi due cenobi appare subito evidente una loro forte diversità concettuale: classico e “orizzontale” nella sua struttura, articolata intorno ai chiostri medievali e alla chiesa abbaziale quello di Santa Scolastica; curiosamente e suggestivamente verticale quello del Sacro Speco, con chiesa, cappelle e grotte affrescate che si inseguono nella roccia, offrendo mirabili visioni sulla valle sottostante. Decaduti nei secoli successivi, anche per contrasti tra le due comunità, i monasteri furono rivitalizzati verso la fine del Trecento da monaci provenienti dalla Germania che diedero inizio a quella vocazione extranazionale che ancora oggi caratterizza la famiglia sublacense.

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Santa Scholastica abbeyview. ph. Grentidez

ABBAZIA DI MONTEOLIVETO MAGGIORE
Congregazione Olivetana

L’aspro paesaggio delle Crete, dirupi brulli e grigiastri che spaccano il terreno poco a sud di Siena, accoglie e quasi esalta la grande, serena e affascinante abbazia di Santa Maria di Monteoliveto Maggiore. Spettacolare quanto poche altre per la sua perfetta armonia di paesaggio, natura, vita monastica, Monteoliveto Maggiore è anche una delle più frequentate abbazie italiane.
Casa madre della Congregazione Olivetana e residenza del suo Abate Generale, l’abbazia ospita anche il noviziato ed è per questo che vi si nota spesso un intenso via vai di giovani che qui trascorrono parte del loro periodo di formazione monastica. I “bianchi” monaci olivetani sono da sempre disponibili e ospitali, amanti e protettori dell’arte, quasi che lo spirito umanistico che ispirò il periodo di massimo fulgore dell’Ordine (XV-XVI sec.) sia ancora vivo nella comunità. Certamente l’Abbazia Madre è una sintesi di questa via serena e gioiosa del monachesimo benedettino. Scrigno d’arte quanto pochi altre nel mondo, è conosciuta anche per la bontà dei liquori d’erbe che si producono nella sua antica distilleria e per il suo celebre laboratorio di restauro del libro.
Ci sono pochi luoghi nell’Occidente monastico capaci di eguagliare il chiostro grande di Monteoliveto Maggiore per il sublime equilibrio tra arte, architettura e spiritualità. Questo spazio costituisce uno dei più grandi capolavori dell’arte monastica rinascimentale, non solo per le valenze estetiche, comunque altissime, da esso espresse nell’opera di Luca Signorelli e del Sodoma, quanto per la perfetta corrispondenza tra elaborazione artistica, messaggio religioso e scansione dello spazio. Il chiostro ha arcate regolari chiuse da vetrate e circonda un grazioso giardino. La luce vi penetra in modo assai dolce, illuminando le scene vivaci che si possono leggere come una storia .

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Monteoliveto Maggiore. ph.Acer11

ABBAZIA E SACRO EREMO di CAMALDOLI
Congregazione Camaldolese

Il conte Maldolo, signore delle terre che stavano al confine tra Toscana e Marche, ebbe una visione: una processione di monaci biancovestiti saliva al cielo partendo da una montagna posta nei suoi possedimenti. Spinto da questo evento soprannaturale, il conte donò alla neonata famiglia di monaci al seguito di san Romualdo, che vestiva appunto di bianco, la località di Fontebuona, dove esisteva già un ospizio che dava assistenza ai pellegrini che valicavano la sella boscosa che portava nelle Marche. Questo luogo divenne Camaldoli (o Ca’ di Maldolo) e continuò quella tradizione di assistenza fisica e spirituale affiancandola però con la spiritualità benedettina. Più in alto, tra gli abeti, sorgeva nel frattempo un eremo, luogo di pace e silenzio in cui si sperimentava quella vita eremitica che ancora costituisce uno dei lati più affascinanti del sistema camaldolese. Il cenobio-ospizio e il solitario eremo: questa duplice realtà è passata attraverso i secoli e ancora esiste. Non si tratta di due monasteri distinti, ma di una stessa comunità che si esprime in due diverse forme di spiritualità: quella più tradizionale e cenobitica e quella più estrema ed eremitica. Quest’ultima può essere definitiva o anche parziale, poiché continuo è l’interscambio tra i due poli. Ogni monaco del cenobio può chiedere di passare qualche tempo nell’eremo, poiché solo chi sviluppa la propria spiritualità a contatto con il mondo può avere la forza di affrontare la solitudine, ma anche l’eremita può chiedere di tornare in comunità, vera palestra della vita benedettina. Lo stesso Romualdo non risolse mai il contrasto tra l’importanza di vivere in cenobio e il fascino della vita eremitica. Affrontando quindi la “duplice Camaldoli”, culla dell’Umanesimo e luogo di studio e meditazione per tutti i secoli della sua storia, è bene cercare di rispettarne lo spirito, senza ostinarsi a fare inutili raffronti e lasciandosi coinvolgere dall’atmosfera unica che vi si respira.  Camaldoli produce libri, essenze e liquori, ospita e stimola, forte di un’organizzazione all’accoglienza che ha pochi rivali.  Dal monastero all’eremo sono cinque chilometri sul sentiero originale, dove si incontrano la cappella della Madonna della Neve, la cappella di San Romualdo, le tre Croci, che un tempo delimitavano il territorio di clausura dell’eremo, e il laghetto fatto costruire nel Cinquecento dal Generale dell’Ordine Ambrogio Traversari per fornire una riserva di pesci ai monaci dell’eremo che non mangiavano carne. Nell’Eremo, in gran parte chiuso al pubblico, è visitabile la cella, con i suoi piccoli ma funzionali ambienti destinati allo studio, al lavoro e alla preghiera, che si dice fosse abitata dallo stesso San Romualdo.

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ABBAZIA DI VALLOMBROSA
Congregazione Vallombrosana

L’imponente mole degli edifici abbaziali di Vallombrosa appare all’improvviso emergendo dalle fitte abetaie che ancora ricoprono il Passo della Consuma e non si può negare che il primo impatto possa anche essere deludente. Sembra infatti che, più che un luogo di preghiera, le possenti mura che la circondano nascondano un presidio militare. Naturalmente non è così, ma è solo addentrandosi nel complesso che si ritrova a poco a poco la sua vocazione. Questa immagine distorta deriva dai numerosi rifacimenti a cui Vallombrosa è stata soggetta nel corso della sua lunga e tormentata storia.  L’immagine di un fortino assediato, di un luogo di resistenza quasi disperata, ben si addice a questa piccola Congregazione, la meno florida, almeno numericamente, tra quelle ancora esistenti. Dal momento della sua fondazione nell’XI secolo, per opera del fiorentino Giovanni Gualberto, l’abbazia ha dovuto sempre lottare contro “il mondo”, contro vescovi e istituzioni corrotte, contro simoniaci e lussuriosi, contro altre Congregazioni monastiche che ne disapprovavano le posizioni estremistiche. Legata al movimento pauperistico e antigerarchico della Pataria milanese, Vallombrosa fu per anni un faro per tutti coloro che cercavano un movimento religioso che fosse finalmente e completamente dalla parte degli umili. Anche a prescindere da queste sue posizioni politiche e sociali, che presto rientrarono, mitigate dalla Riforma gregoriana, Vallombrosa rappresentò comunque un progetto di vita innovativo per il panorama italiano in virtù della sua organizzazione che voleva tutte le abbazie dipendenti dalla madre, secondo un modello che anticipava quello attuale di Congregazione. Forte è anche il legame con la foresta che la circonda e che fu uno dei motivi per cui Giovanni Gualberto scelse proprio questo luogo di aspra e cupa solitudine. Giovanni Gualberto, ricordiamolo, è  il patrono dei Forestali italiani e per un lungo periodo, dal 1866 al 1949, quando la Congregazione era stata soppressa, gli edifici abbaziali furono adibiti proprio a Scuola Forestale d’Italia.
Oggi i monaci vallombrosani sono rimasti in pochi e vivono nei loro cenobi una vita quanto mai riservata. Vallombrosa apre le sue porte con parsimonia, non rifiutando l’incontro ma evitando ogni tipo di massificazione del turismo religioso. Chiusa nelle sue mura impenetrabili continua a difendere con coraggio l’originalità della propria storia.

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Abbey of Vallombrosa.

EREMO DI S. SILVESTRO DI MONTEFANO
Congregazione Silvestrina

Il nome “eremo” può trarre in inganno: non ci si aspetti infatti un piccolo e dimesso edificio sperso tra foreste o dirupi o scavato nella parete di un monte. L’eremo di San Silvestro che sovrasta Fabriano è ancora isolato in mezzo ai boschi ma appare oggi come un monumentale complesso in gran parte riedificato in epoca moderna, dove si respira l’atmosfera dinamica vivace propria di una “casa madre” che controlla, regola e forma la vita delle case della Congregazione Benedettina Silvestrina, ormai diffuse in tutto il mondo. Il luogo in cui, nel 1230, Silvestro Guzzolini da Osimo si ritirò in cerca dell’aspra solitudine tanto amata dai grandi spiriti medievali, ha lasciato il posto a un solido monastero che ha saputo passare indenne attraverso numerose peripezie e rinascere ogni volta rinvigorito secondo lo spirito del fondatore. Sebbene non siano moltissimi, i Silvestrini si distinguono oggi tra tutti i Benedettini per una visione molto aperta e dinamica dell’ideale monastico.  Non bisogna però stupirsi di questa libertà perché una delle particolarità dell’ideale benedettino è di accogliere sotto la propria Regola esperienze di vita antitetiche tra loro: l’eremita e il parroco, l’educatore e il contadino. Fondata in un’epoca storica che vide, proprio qui nelle Marche, diffondersi e trionfare l’ideale francescano di povertà e letizia, la Congregazione Silvestrina pare aver assorbito nella propria natura qualcosa che è proprio degli Ordini Mendicanti e che la colloca in una posizione di “ponte” tra le due principali tendenze della spiritualità medievale.

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abbazie europa cover

All of us simply call them monks, sometimes mistakenly friars, but the Benedictines are actually a large family, made up of many Congregations in general linked to the nation of the abbeys. In Italy, however, where Benedictine monasticism was born, there are six places where religious families were born in the Middle Ages and still exist and live there today. For me, speaking about abbeys is a return to my origins because my first books were dedicated to Italian monasticism.

ABBEY OF MONTECASSINO
Cassinese Congregation

Truncata resurgit, recites a Benedictine motto referring to the oak, one of the symbols of the Order, and this motto seems to be suitable to summarize the long and troubled history of Montecassino, the cradle of the Benedictine Order, the trunk of that oak whose branches, so flourishing and diverse, have populated the whole world. Through the continuous invasions, recurrent destruction, crises, and subsequent rebirth, Montecassino is the symbol of the spiritual power of a movement that has been able to be reborn over the centuries, always finding in this sanctuary the driving force of its existence. Montecassino is the mother-house of the entire Order, a venerable and martyr place, unique in its glory and permanent pain.  We do not expect to find in Montecassino buildings rich in history, mystical or evocative: the huge quadrilateral, which dominates the valley from the top of the hill, is a white set of palaces, courtyards, cloisters in eighteenth-century style rebuilt after the war on the model of the original. This monastery expresses an aura of icy austerity, a sensation of monumental respect due to the presence of the remains of the Holy Founder. Particularly noteworthy is the spectacular succession of the cloisters, which communicate with each other by steep stairs, allowing beautiful backward views of the valley. Under the church lies the true “Benedictine sanctuary”, the crypt in which the remains of Benedict and his sister Scholastica are preserved. It’s a surprising environment with an interesting pictorial decoration, which we could call “art nouveau spiritual”, work of the monks-painters of the school of Beuron, developed in Germany in the early twentieth century.

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ABBEY OF SANTA SCOLASTICA AND THE SACRO SPECO, SUBIACO
Sublacense Congregation

When the young Benedict reached the Sublacum region, coming back from a harsh hermit experience in the locality of Affile, the landscape had to be quite different from what we see today. The solitary and deserted place, rich in water that was collected in three artificial lakes before flowing into the Aniene river, housed the ruins of the villa of Nero and was the ideal place to form the first community of monks. Often in fact, at the beginning of monasticism, the prerequisites for the foundation of a monastery were the presence of water, isolation, and ruins from which to obtain raw material for the construction of new buildings. He was a spontaneous group of brothers, linked more to Benedict’s charismatic figure than to the observance of a rule, an outpost of an organization that would be perfected only in Montecassino (see above).
Of the twelve (or thirteen, the sources are uncertain in this regard) monasteries founded by the saint in this place, only two have survived over the centuries: the great monastery of Santa Scolastica, dedicated to the saint’s sister, and the evocative hermitage of the Sacred Speco that overlooks it, built on the cave where the saint retired in meditation. They are two very different buildings and in some way complementary to each other, supported by a single abbot and linked by the memory of the founder.
Subiaco also gives its name to one of the largest Benedictine congregations, called Sublacense, and is one of the “capitals” of world monasticism. Quickly observing these two monasteries, it is immediately evident that they have a strong conceptual diversity: Santa Scolastica is  “horizontal” in its structure, articulated around the medieval cloisters and the abbey church; Sacro Speco is curiously and suggestively vertical with the church, chapels, and frescoed caves chasing each other in the rock, offering wonderful views of the valley below. Decayed in the following centuries, also because of the contrasts between the two communities, the monasteries were revitalized towards the end of the fourteenth century by monks from Germany. From here the extra-national vocation that still characterizes the Sublacense family.

Subiaco,_Abbaye_Sainte-Scolastique

ABBEY OF MONTEOLIVETO MAGGIORE
Benedictine Olivetan monks

The rugged landscape of the Crete, barren and greyish cliffs that split the land just south of Siena, welcomes and almost exalts the great, serene and fascinating abbey of Santa Maria di Monteoliveto Maggiore. Spectacular as few others for its perfect harmony of landscape, nature, monastic life, Monteoliveto Maggiore is also one of the most popular Italian abbeys.
Motherhouse of the Olivetan Congregation and residence of its Abbot General, the abbey also houses the novitiate. The “white” Olivetan monks have always been gentle and friendly, lovers and protectors of art, and the humanistic spirit that inspired the period of the Order’s greatest splendor (XV-XVI century) is still alive in the community. Certainly, the mother abbey is a synthesis of this serene and joyful way of Benedictine Monasticism. A treasure chest of art as few others in the world, it is also known for the goodness of the herbal liqueurs that are produced in its ancient distillery and for its famous laboratory for books restoration.
There are few places able to equal the great cloister of Monteoliveto Maggiore for the sublime balance between art, architecture, and spirituality. This space is one of the greatest masterpieces of monastic art, not only for the aesthetic values expressed by the frescoes of Luca Signorelli and Sodoma but also for the perfect correspondence between artistic elaboration, religious message, and space scan. The cloister has regular arches closed by glass windows and surrounds a lovely garden. The light penetrates it in a very gentle way, illuminating the vivid scenes that can be read as a story.

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ABBEY AND SACRO EREMO, CAMALDOLI
Camaldolese Congregation

Count Maldolo, lord of the lands that stood on the border between Tuscany and Marche, had a vision: a procession of white monks ascended to the sky starting from a mountain in his possessions. Driven by this supernatural event, the count donated to the newborn family of monks following St. Romualdo, which used white robes, the village of Fontebuona, where there was already a hospice that provided assistance to pilgrims who crossed the wooded saddle that brought to the Marche. This place became Camaldoli (House of Maldolo) and continued that tradition of physical and spiritual assistance while flanking it with Benedictine spirituality. Above, among the fir trees, there was in the meantime a hermitage, a place of peace and silence in which one could experience that hermit life that still constitutes one of the most fascinating ways of the Camaldolese system. Cenobitic life and the solitary hermitage: this dual reality has passed through the centuries and still exists. These are not two distinct monasteries, but rather a community that expresses itself in two different forms of spirituality: the more traditional and cenobitic one and the more extreme and hermit’s one. The latter can be final or even partial since continuous is the interchange between the two poles. Each monk of the monastery can ask to spend some time in the hermitage, because only those who develop their spirituality in contact with the world can have the strength to face loneliness, but also the hermit can ask to return to the community, a true gymnasium of Benedictine life. Romualdo himself never resolved the contrast between the importance of living in a monastery and the fascination of hermit’s life.   Camaldoli produces books, essences, and liqueurs, hosts, and stimulates, thanks to a welcoming organization that has few rivals.  From the monastery to the hermitage there are five kilometers on the original path, where you will find the chapel of the Madonna Della Neve, the chapel of San Romualdo, the three crosses, which once delimited the cloistered territory of the hermitage, and the pond built in the sixteenth century to provide a reserve of fish to the monks of the hermitage who did not eat meat. In the hermitage, mostly closed to the public, a single cell, with its small but functional rooms for study, work, and prayer, which are said to have been inhabited by Saint Romualdo himself, can be visited.

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ABBEY OF VALLOMBROSA
Vallombrosa Congregation

The imposing size of the abbey buildings in Vallombrosa suddenly appears from the thick fir-tree trees that still cover the Passo della Consuma and it cannot be denied that the first impact can also be disappointing. It seems, more than a place of prayer, a military garrison.  This distorted image derives from the numerous renovations that Vallombrosa has been subjected to during its long and tormented history.  The image of a besieged fort, a place of desperate resistance, is well suited to this small Benedictine Congregation, the least numerically prosperous among those still existing. Since its foundation in the 11th century, by the Florentine Giovanni Gualberto, the abbey has always had to fight against “the world”, against bishops and corrupt institutions, against simoniacs, and lustful, against other monastic congregations that disapproved its extremist positions. Linked to the pauperistic and antigerarchical movement of the Milanese Pataria, Vallombrosa was for years a beacon for all those who sought a religious movement that was finally and completely on the side of the humble. Quite apart from these political and social positions, which were soon mitigated by the Gregorian Reformation, Vallombrosa nevertheless represented an innovative life project for the Italian panorama by virtue of its organization that wanted all abbeys dependent on their “mother house”, according to a model that anticipated the present Congregation.
Vallombrosa opens its doors sparingly, not rejecting the encounter but avoiding any kind of massification of religious tourism. Closed in its impenetrable walls, it courageously continues to defend the originality of its own history.

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HERMITAGE OF S. SYLVESTER OF MONTEFANO
Silvestrine Congregation

The hermitage of San Silvestro that dominates Fabriano, is still isolated in the middle of the woods, but today it appears as a monumental complex, largely rebuilt in modern times, where you can breathe the dynamic vibrant atmosphere of a “mother house” that controls, regulates and shapes the life of the houses of the Silvestrine Benedictine Congregation, now widespread throughout the world. The place where, in 1230, Silvestro Guzzolini da Osimo retired in search of the bitter solitude so loved by the great medieval spirits, has given way to a solid monastery that has been able to pass unscathed through numerous vicissitudes and be reborn every time reinvigorated according to the spirit of the founder. Although not many, the Silvestrini stands out today among the Benedictines for a very open and dynamic vision of the monastic ideal. One of the peculiarities of the Benedictine ideal is to welcome under the  Rule antithetical life experiences: the hermit and the parish priest, the educator and the farmer. Founded in a historical era that saw, right here in the Marche region, the Franciscan ideal of poverty and happiness spread and triumph, the Silvestrine Congregation seems to have absorbed into its nature something that is proper to the Mendicant Orders and that places it in a position of “bridge” between the two main tendencies of medieval spirituality.

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