Ecco un altro estratto dal mio libro “Lo spirito di Kyoto”. Questa volta parlo di Ise, il luogo più sacro per i fedeli dello scintoismo, dove ho avuto la fortuna di assistere a una delle più antiche e curiose cerimonie che si possano vedere al mondo: la ricostruzione periodica di tutti gli edifici in legno che compongono il santuario. Un’esperienza strana e spiazzante che vi voglio raccontare uno dei viaggi nel catalogo Viaggi dello Spirito in collaborazione con la Compagnia del Relax
Quando sono emerso nella piccola stazione di Iseshi ero esausto e congelato per l’aria condizionata e mi sono sentito come lo straniero che scende in una remota stazione del Far West e si domanda: e adesso? Mi ero aspettato una città vivace, affollata, come lo sono spesso le località di pellegrinaggio, e invece davanti a me c’era solo un piazzale deserto, il tipico piazzale di una stazione di provincia a metà mattina di un giorno feriale, senza indicazioni, senza persone, senza fascino. Da qui un breve percorso pedonale tra semplici negozi e ristoranti portava allo spazio sacro del Geku. Il Geku, o meglio il Toyoukedaijingu, è il più piccolo e meno importante tra i due complessi principali di Ise e si trova all’interno di un bosco sacro circondato da un corso d’acqua che ne segna i confini. L’ingresso era affollato da centinaia di pellegrini che indossavano tutti una sgargiante casacca azzurra e accompagnavano con grida dei carri e portantine addobbati con gli stessi colori. Alcuni portatori scaricavano ceste di pietre dai carri e le andavano a rovesciare in grandi casse, ciascuna contrassegnata da un ideogramma che corrispondeva al nome della confraternita. Doveva trattarsi di una cerimonia molto importante perché c’erano anche operatori della televisione nazionale che riprendevano queste operazioni che, sebbene fossero accompagnate da un giusto fervore, mantenevano una compostezza tipicamente giapponese. Mentre gli “azzurri” si disponevano disciplinatamente davanti alle casse, ciascuno tenendo in mano un candido pezzo di stoffa, altri confratelli con casacca bianca, fecero il loro ingresso sul piazzale scortando i loro carri e dal bosco emersero, in ordine sparso e soddisfatto, dei “Viola” che avevano evidentemente concluso il loro rito. Di cosa si trattava lo avrei scoperto presto.

Ogni pellegrino, e ce n’erano di ogni età, uomini e donne, anziani e bambini, raccoglieva una pietra con la stoffa bianca e si avviava in processione percorrendo il viale del santuario fino all’ingresso dello Shogu, il santuario principale, dove un inflessibile servizio d’ordine bloccava chiunque non avesse con se una pietra e non portasse l’abito della confraternita. Normalmente questo ingresso sarebbe stato sbarrato per tutti i visitatori da un’alta palizzata ma, trovandoci nell’anno della ventennale ricostruzione, lo Shinkien Sengu, i pellegrini stavano partecipando all’edificazione del nuovo santuario, deponendo ciascuno una pietra sul piazzale che, alla fine delle processioni ne sarebbe stato interamente coperto. Era infatti questo l’anno della grande Ricostruzione Rituale. Decidendo di venire a Ise speravo di essere testimone di uno dei riti che accompagnano il più importante avvenimento religioso che si tiene in Giappone, la ricostruzione ventennale dei santuari, e sono stato accontentato. Durante il lungo viaggio in treno avevo letto che ogni edificio ha accanto a sé uno spazio, identico per dimensioni, dove ne viene costruito uno esattamente uguale, ed è proprio così. Accanto a ogni edificio in legno di cipresso dalle tinte bionde se ne vede un’altro, dalle tonalità più scure, assunte dal legno con il tempo che lo fanno apparire molto più vecchio di quanto realmente sia. Per un breve periodo i due coesisteranno, poi il vecchio verrà smantellato in modo rituale e le sue parti si trasformeranno in reliquie che saranno donate ai templi minori sparsi su tutto il Giappone da cui provengono le confraternite che qui si succedono oggi.

I “bianchi” stavano depositando le loro pietre ma non me ne curai e percorsi il ponte Hiyokebashi con la consapevolezza di entrare, superandolo, nello spazio sacro. Feci la dovuta sosta al padiglione della Temizusha, la purificazione rituale con il mestolo, e dopo essermi simbolicamente ripulito, oltrepassai i due torii che segnavano l’accesso al vero e proprio santuario. Il Geku è dedicato a Toyuke Omikami, una divinità incaricata di preparare il sacro cibo per Amaterasu Omikami, la divinità suprema, che si venera invece nell’altro santuario di Ise, il Naiko. Il suo ruolo di divina cambusiera le ha procurato il patrocinio sul cibo e per, estensione, su tutte le attività che lo procurino, ragion per cui da millenni è visitata da migliaia di pellegrini. La preparazione del cibo sacro avviene realmente, in un padiglione del santuario detto Imbiyaden, dove i sacerdoti incaricati si sottopongono a pratiche antiche di purificazione e preparazione, prima di presentare i cibi, due volte al giorno, alla divinità nel santuario principale. Naturalmente questi riti sono assolutamente invisibili per chiunque, e la percezione delle cerimonie e degli edifici sacri è solo esterna. Eppure questo senso di esclusione e lontananza non sembra scoraggiare i visitatori. Numerosi santuari minori sono sparsi nel bosco sacro, alcuni raggiungibili con brevi e ripide scale. Proprio mentre mi trovavo davanti a uno di questi, vidi una duplice fila di uomini in abito rituale bianco, ciascuno con una cesta in mano, salire la scala. Arrivati davanti al santuario si fermarono, si inchinarono con ammirevole sincronia per due volte, poi, sempre con la stessa sincronia, batterono le mani ad invocare il kami, eseguirono un altro inchino e si dedicarono a raccogliere impurità sparse sul terreno. Come una disciplinata legione di “sacri spazzini” completarono il loro compito in cinque minuti, si ridisposero in duplice fila e discesero la scala per ripetere l’operazione davanti al santuario sottostante. Appagato da queste apparizioni, ritornai all’ingresso mescolato a pellegrini dalle casacche multicolori che, dopo aver eseguito il loro rituale “deposito della pietra”, rimanevano nel recinto sacro per devozioni private, poiché per molti di loro questo pellegrinaggio a Ise era l’occasione della vita, un’esperienza che si raccomanda di fare almeno una volta prima di morire, similmente per quanto avviene per i musulmani con il pellegrinaggio a La Mecca. Altre processioni arrivavano dal lungo viale di circa quattro chilometri che si percorre per raggiungere il Naiku, il santuario esterno, il vero centro spirituale del Giappone. Di cui però … parleremo in un post dedicato (la storia completa la trovate ne Lo Spirito di Kyoto.

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