Il tempo del pellegrino: san Girolamo di Somasca nel ricordo e nel presente

Mia nonna era davvero brava nel raccontare le storie. Ne raccontava di strane e inverosimili, di tristi e disperate, legate alle guerre e alle privazioni che avevano costellato la sua vita, ma anche di liete e avventurose. Tra queste la mia favorita era quella del pellegrinaggio al santuario di San Gerolamo.

Raccontava di come si partisse all’alba dal cuore della Brianza, le ragazze sedute sul carro che si stringevano tra loro per vincere il freddo e comunicarsi l’eccitazione per quella che per loro era l’avventura della vita, e si raggiungesse Somasca, frazione di Vercurago, presso Lecco, quando il sole era già alto. Si visitava il Santuario, si pregava, naturalmente, perché il turismo senza fede ancora non era nato, si mangiava quanto si era portato con sé, si riempivano bottiglie con un’acqua dai segreti poteri e poi si ripartiva, per giungere a casa quando il cielo era di nuovo pieno di stelle Questo santo, Gerolamo, quindi mi era abbastanza familiare fin da bambino e, col passare del tempo, il suo nome finì per sovrapporsi all’immagine di un vecchio barbuto e magro che meditava nel deserto osservato da un leone. Ci volle del tempo, e una certa passione per storie di santi e di vita religiosa per comprendere che il Gerolamo a cui mia nonna rivolgeva le sue preghiere non era affatto quell’eremita barbuto, che era vissuto nel V secolo e aveva passato gran parte della propria vita nei deserti della Terra Santa, ma un più recente gentiluomo veneziano, che di cognome faceva Miani o Emiliani a seconda delle tradizioni.

La statua di san Girolamo Miani
La statua funebre di San Girolamo Miani nella chiesa del Santuario di Somasca. ph Maria Lecis

Così un giorno presi anch’io il mio carro, che andava più veloce, aveva un modesto ma efficace motore e, soprattutto mi permetteva di andare e tornare da Somasca in una sola mezza giornata e decisi di verificare con i miei occhi quanto avevo fino allora custodito solo nell’immaginario. Sinceramente non so dire se questa mia acquisita velocità si sia rivelata davvero un vantaggio, visto che non ho ascoltato i galli che mi annunciavano il giorno né ho trovato le stelle a salutarmi sulla via di casa. Quando vi arrivai, inoltre, il magico luogo di Somasca si rivelò essere una verde collina simile a tante altre, dominata da montagne che si facevano via via più alte separando il lecchese dalla valle Imagna. C’erano di certo più case a punteggiare le pendici del monte, più auto a intasarne gli accessi, ma, una volta superato l’iniziale disappunto e raggiunto il piazzale dove si ergeva la Basilica, mi resi conto che il Santuario non doveva essere poi molto diverso da allora. Lì dentro c’erano ancora le ossa del Santo, il motivo che per secoli ha spinto migliaia di persone di molta, scarsa o scettica fede a penetrarne gli imponenti portali e soffermarsi almeno un attimo davanti a quell’altare, abbandonandosi a un inevitabile pensiero.

Ingresso santuario superiore
La porta d’ingresso al Santuario Superiore della Valletta, Somasca. ph Maria Lecis

Ci sono dei luoghi di fede nel mondo, appartenenti alle più diverse confessioni o religioni, che hanno il pregio di affascinare il pellegrino o il visitatore per il fatto di saper combinare architettura e natura, edifici sacri e aree di accoglienza, percorsi di meditazione e angoli di contemplazione. La Riforma Cattolica, o Controriforma che la si voglia chiamare,  si compiaceva di realizzare Sacri Monti, con lo scopo di invitare il pellegrino ad avanzare contemplando e meditando. Il monte che sovrasta il santuario di San Gerolamo può essere considerato, a buon diritto, un Sacro Monte, punteggiato com’è di cappelle in cui si raccontano, attraverso gruppi scultorei di un certo realismo, le più importanti scene della vita del Santo (invece delle più tradizionali raffigurazioni della Passione di Nostro Signore). Grande onore è dunque quello riservato al fondatore dei Somaschi, ordine religioso che da questo luogo ha preso popolarmente il nome (quello più ufficiale e pomposo è Chierici Regolari di Somasca), e che di quell’epoca di fervida spiritualità quale fu la fine del XVI secolo fu uno dei massimi campioni. Come il ben più famoso Ignazio da Loyola, suo contemporaneo e fondatore dei Gesuiti, Gerolamo Miani condusse una vita bipolare: gaudente e dissoluta nella gioventù, austera e totalmente dedita al prossimo nella maturità e di questa meravigliosa conversione, del miracolo di Treviso, la via delle cappelle racconta in modo semplice e immediato le tappe.

fonte miracolos
La cappella con la Fonte Miracolosa nel Santuario Superiore di Somasca. ph Maria Lecis

Era proprio per parlare a gente semplice, come mia nonna e le sue amiche, che venivano costruite, era proprio per saltare il gradino incolmabile tra istruzione e devozione che si concepivano spazi “parlanti”, piccole Gerusalemme sulle pendici dei monti in cui addentrarsi con lo spirito pieno di meraviglia dopo aver vegliato e pregato sul corpo del Santo e averne assorbito la mistica e inesauribile energia. L’acqua che sgorga dal monte, di cui si riempiono ancora bottiglie, è il simbolo concreto di questo flusso benefico che emana dal “monte santo” e il pellegrino si riporta a casa certo che gli farà del bene, così come dissetò concretamente gli orfanelli per cui il Santo aveva invocato una fonte sulle pendici di quel monte aspro. Dalla Valletta, il luogo più suggestivo dell’intero complesso, sgorga acqua miracolosa e lo sguardo si apre sui laghi e sulle fosche dimensioni della città di Lecco poco lontana. Sopra, veglia quella che si suole chiamare Rocca dell’Innominato ma questa è un’altra storia, di altrettanto magnifica conversione. L’ultima delle cappelle si trova proprio qui, quasi a suggellare il legame tra due grandi convertiti. Non manca una Scala Santa che si dovrebbe percorrere in ginocchio, secondo le antiche devozioni, e che conduce a un Eremo dove il Santo si ritirava in feconde meditazioni.

via delle cappelle, Somasca
Il percorso con le cappelle che unisce il Santuario Inferiore a quello Superiore a Somasca. ph Maria Lecis

Oggi si può prendere un aereo e in poche ore raggiungere la vera Gerusalemme; con un treno superveloce si arriva a Roma, altrettanto vicina, e si possono compiere pellegrinaggi in luoghi assai lontani. Ma se quello che serve per ristorare il corpo e il cuore sono la presenza di un corpo santo, a cui chiedere benefiche intercessioni, una “via” da percorrere in preghiera, uno spazio in cui natura e fede si possano ritrovare, ebbene anche la piccola Somasca non ha nulla da invidiare ad altre e più famose mete dello spirito. Sarebbe bello arrivarci a piedi, un giorno, sudati e impolverati, lasciando la casa al sorgere del sole e tornandovi nel cuore della notte dopo essersi rinfrescati con l’ombra della sua basilica, il fresco della sua acqua, il ricordo della sua storia. Oggi c’è persino una Casa di accoglienza ad assistere i pellegrino che, una volta raggiunta la meta, desideri sostare anche solo un giorno in questo luogo. Sono questi piccoli lussi che mia nonna non si poteva permettere. Il pellegrinaggio durava solo un giorno. Quel giorno. Breve e lunghissimo, sufficiente a far sognare per anni un bimbo che sognava avventure.

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