Una Piccola Morte, dello scrittore saudita Mohamed Hasan Alwan, è un romanzo storico e spirituale, ambientato tra il XII e il XIII secolo, che racconta la vita e il pensiero di uno dei più grandi mistici di ogni tempo, lo spagnolo Muhammad Ibn Arabi (1165-1240), ritenuto uno degli ispiratori dello stesso Dante nella costruzione della Divina Commedia.
Vincitore del prestigioso International Prize for Arabic Fiction nel 2017, questo romanzo, edito in Italia da E/O, è uno straordinario viaggio nella storia, nel pensiero, nell’anima di uno dei più grandi mistici di ogni tempo. Per me leggere questo libro è stato come compiere un vero viaggio: dalla città natale di Murcia, in Spagna ma all’epoca facente parte dell’impero degli Almohadi, alla capitale Marrakech, per raggiungere poi Il Cairo, La Mecca, Bagdad, Damasco, Aleppo, l’Anatolia e poi ancora Damasco, dove trova la morte.
La capacità del giovane scrittore, saudita di nascita ma residente in Canadà, è quella di fondere in modo elegante e avventuroso, la grande mole di informazioni, citazioni, pensieri tratti dall’opera enciclopedica di Ibn Arabi con le necessità narrative di un moderno romanzo. Capitoli brevi (tutti preceduti da citazioni del maestro che sono altrettanti spunti di riflessione sulla vita), linguaggio curato ma non contorto (merito anche della ottima e premiata traduzione di Barbara Teresi), attenzione nell’evitare anacronismi storici e comportamentali. Il viaggio di Ibn Arabi attraverso le metropoli del mondo arabo diventa così continua ricerca, un percorso di completamento dove la dimensione spirituale si compenetra con le esigenze della vita di un uomo: matrimonio, figli, mantenimento.
Ibn Arabi era soprattutto un sufi, la corrente mistica e non dogmatica dell’Islam, ma anche un docente (la dimensione dell’insegnamento, con il forte rapporto maestro-discepolo è un tema costante nel romanzo), un filosofo, un curioso, sempre disponibile all’interazione e al dialogo con tutti. Figlio di un ministro della corte almohade, il giovane Muhy (questo il suo nome) ha sempre avuto un rapporto delicato col potere. Quando i numerosi sovrani con cui ha a che fare lo interpellano su temi politici ma soprattutto spirituali, trova sempre un modo sereno ed ispirato per dare risposte originali. Ma la vera costante della storia, che è stata di Ibn Arabi ma è propria dei sufi di ogni epoca, è il totale e luminoso amore per Dio, l’abbandono alla sua volontà, la ricerca costante della Sua presenza e l’obbedienza alle Sue risposte che si manifestano in sogni, visioni, illuminazioni spesso sorprendenti capaci di stravolgere in modo inspiegabile per chi gli sta accanto (la bella e solare figura del servo/discepolo/compagno Badr l’abissino su tutti) la tranquillità della vita quotidiana.
Avevo già avuto un piacevole e sorprendente incontro con la letteratura saudita leggendo il romanzo Il collare della colomba (ed. Marsilio) della giovane scrittrice Raja Alem, strana storia ambientata in una Mecca molto diversa da come la immaginiamo, e questo secondo incontro mi conferma che, aldilà dell’immagine di paese chiuso nel suo rigido integralismo wahabita, l’Arabia sia un paese ricco di sorprese, anche e soprattutto letterarie!
