Ecco un nuovo estratto dal mio libro Lo Spirito di Kyoto. Questa volta vi parlo dell’enigmatico tempio To-ji, uno dei principali santuari della scuola Shingon del buddismo giapponese, un luogo affascinante, dove il popolare termine di “mandala” può assumere una valenza sorprendente!
Il To-ji (letteralmente il tempio: ji, dell’Est: To, in cinese antico) è uno tra i più antichi templi di Kyoto ed è anche uno dei principali luoghi di culto della scuola esoterica buddista Shingon.
Costruito nel 794, anno del trasferimento della capitale da Nara a Heian/Kyoto, il Toji faceva parte del sistema difensivo della città e costituiva, con lo scomparso So-ji (il Tempio dell’Ovest), una delle due estremità dell’asse principale della nuova capitale del regno.
Nel 818 il monaco Kukai ne fece il primo quartier generale della scuola Shingon da lui fondata, prima di trasferirsi sul monte Koya (un luogo di grande fascino non lontano da Nara), tanto che si dice che “se il suo corpo riposa sul Koya, il suo spirito vive ancora qui al Toji”. Come gran parte dei templi di Kyoto, anche il To-ji fu quasi completamente distrutto nel XV secolo e molto di ciò che vediamo oggi risale quindi alle ricostruzioni del XVII secolo.
La scuola buddista Shingon (termine derivato dal cinese chen-yen e che potremmo tradurre con mantra), una delle più antiche e seguite in Giappone, ha le sue origini da quello stesso filone esoterico da cui deriva anche il buddismo tibetano. Le salmodie ripetute e i riti dal sapore magico che si celebrano nei templi Shingon richiamano vagamente i suggestivi rituali himalayani, con cui condividono anche l’utilizzo del concetto di mandala, o meglio mandara come si pronuncia in Giappone!
Il mandala del Grembo Materno, Taizokaimandara è infatti uno degli elementi centrali di questa scuola. Simboleggia l’insieme dei fenomeni naturali e delle forme dell’universo che sono la manifestazione della realtà assoluta del Buddha Vairocana (Dainichi Nyorai) seduto nel suo centro. E’ costituito da dodici quartieri in cui risiedono 413 divinità. Repliche di questo mandala si possono acquistare nei piccoli chioschi che si trovano all’interno dei vari padiglioni del Tojo ma io sono alla ricerca di un mandala speciale che è qui custodito, un grande mandala tridimensionale, una delle più affascinanti composizioni scultoree che si possono trovare a Kyoto….

Per questo entro prima nel Kon-do, la Sala Principale, dove non trovo il mandala ma un’affascinante Triade di statue composta da Yakushi Nyorai, il Buddha della Guarigione e della Medicina, il Signore del Paradiso dell’Est, ovvero la divinità che si invoca per essere guariti da ogni tipo di male, sia fisico che spirituale, affiancato da Nikko e Gakko, i suoi due assistenti, che sono invece associati al sole e alla luna. Sono statue molto antiche in legno dorato, circondate da grandi “mandorle” che ne accentuano la santità, e risalgono al periodo Momoyama (XVI secolo). Affascinato dalle loro dimensioni e dalla loro imponente staticità rischio di non accorgermi del pregevole fregio, che rappresenta i 12 Generali Celesti e che decora il piedistallo su cui è seduto il Buddha della Guarigione. Da un braciere si diffonde un dolce profumo di incenso mentre da una porta transennata, che si apre sul piazzale dove è in corso l’animato mercato mensile delle pulci, devoti e turisti, appesantiti da borse e sacchetti, si affacciano con obiettivi diversi all’interno di quello spazio ampio e misterioso. Ma, sebbene questo sia un luogo in cui è bello stare, la curiosità mi spinge a proseguire la mia ricerca e così mi avvio verso il padiglione seguente il Ko-do, dove mi aspetto di trovare ciò che cerco.
La sala, lunga è stretta, è quasi completamente occupata da un gruppo di statue disposte con un ordine apparentemente casuale. E’ solo concentrandomi sul loro aspetto che inizio a comprendere che, in realtà, sono invece organizzate in tre gruppi di cinque statue ciascuno, anche se altre, apparentemente fuori schema, disposte alle estremità della composizione, confondono la percezione del tutto. Al centro ci sono i cinque Buddha della Conoscenza, disposti attorno alla figura centrale di Dainichi Nyorai, il Buddha del Sole. Alla loro sinistra ecco i Cinque re Celestiali mentre a destra si trovano cinque bodhishattva (i “santi” intermediari della tradizione buddista mahayana).
La contemplazione di un mandala viene solitamente fatta dall’alto o può anche essere frontale, quando sia dipinto su una parete, come avviene in molti monasteri himalayani. Questa disposizione tridimensionale ad altezza d’occhio, che mi obbliga a un punto di vista orizzontale mi confonde. L’effetto, devo confessarlo, non è quello che mi aspettavo, tanto che continuo a cambiare posizione cercando un angolo in cui possa avere il controllo visivo di questa strana e sfuggente composizione. Alla fine mi posiziono sull’angolo destro e inizio a focalizzare invece l’attenzione su alcuni notevoli particolari decorativi, abbandonando l’ambizioso pensiero di voler cogliere il tutto.
Il mandala, si sa, è uno strumento di contemplazione, un disegno mistico su cui fissare la propria attenzione e in cui lasciarsi trasportare, entrando nei suoi apparentemente incomprensibili percorsi e, procedendo, acquistandone le proprietà segrete.
Anche partendo dai dettagli entrare in questo mandala però non è facile. Le statue polverose, con i loro sguardi fissi nel vuoto, sembrano interagire con legami arcani ma non riescono a coinvolgermi nel loro mistero. Forse, mi dico, se io fossi un praticante dello Shingon tutto sarebbe più facile. Chi pratica lo Shingon infatti “deve porre innanzitutto un mandala dentro il suo corpo, dai piedi fino all’ombelico, fare un grande cerchio, duro come un diamante e di lì fino al cuore deve immaginare un cerchio proprio come di acqua, e sopra il cerchio di acqua ne trova uno di fuoco e sopra il cerchio di fuoco c’è quello d’aria”.
Forse avendo visualizzato e compreso il segreto di questo mandala “interno” sarebbe più facile comprenderne uno “esterno”. Forse allora le cinque figure dei Buddha, immobili nella loro serenità, non mi parrebbero solo effigi silenziose ma mi attirerebbero in un loro mondo segreto, forse capirei il valore di quello che ognuno di loro tiene nelle mani e capirei la posizione stessa delle loro mani, atteggiate nei vari mudra, ognuno dei quali esprime uno stato e un messaggio… Rimango per lunghi minuti fermo in contemplazione, poi però desisto e ritorno all’esterno dove la luce e i colori di un mercatino e una colorata processione di monaci mi riportano subito alla realtà. La verità è che non sono ancora pronto per penetrare i mandala! Del resto sarebbe molto presuntuoso pensare che basti un limitato sforzo di concentrazione e di volontà per riuscirci. Tuttavia la suggestione di questo “mandala 3D” risulta per me molto minore rispetto a quella, davvero magica, esercitata sulla mia mente dai colorati labirinti affrescati nei monasteri del Ladakh.
(nota: all’interno dei padiglioni non si possono scattare foto per questo il racconto non può essere documentato con immagini)
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