Nel 2015 la celebre guida di viaggi Lonely Planet indicò, tra i dieci luoghi al mondo ideali per trovare la pace, la Certosa di Ittingen, che si trova nei pressi della cittadina di Frauenfeld, cantone Turgovia, in Svizzera. La classifica comprendeva luoghi famosi come l’isola di Iona, in Scozia, di cui vi ho già parlato (link) e altri più remoti. Così vista anche la relativa vicinanza ho deciso di andare a vedere di persona perché questo luogo, che da tempo non è più sede di una comunità religiosa, avesse meritato questa segnalazione.
Chi mi legge sa che solitamente parlo solo di luoghi ancora consacrati e dove si svolga una regolare vita spirituale quindi avevo molti pregiudizi sull’atmosfera che avrei trovato alla certosa.
Il fatto stesso che abbia deciso di dedicargli questo post è la prova di come le mie riserve siano cadute davanti a un’insolita e ben riuscita riconversione di un luogo religioso in un sito “multitasking” innovativo e veramente pacificante.

Visitare una certosa è normalmente impossibile. La rigida clausura che vige nei pochissimi insediamenti ancora abitati dai Certosini vieta di fato ogni contatto tra la comunità e il visitatore occasionale. Per scoprire quindi il meraviglioso patrimonio che l’ordine certosino ha creato in tutta Europa non ci resta che trovare edifici che siano stati riconvertiti ad altri usi dopo le soppressioni e gli abbandoni dovuti alla scarsità di vocazioni. Ci sono al cune certose, come quelle celebri di Pavia e del Galluzzo presso Firenze, che sono state assegnate ad altri ordini religiosi che ne permettono la visita guidata, ce ne sono altre che sono diventate centri studi, ospedali, persino alberghi di lusso. La Certosa di Ittingen è un caso piuttosto singolare perché ci mostra una interessante integrazione culturale in un contesto di grande bellezza paesaggistica.
Gli edifici religiosi infatti ospitano oggi attività molto diverse. Gran parte dello spazio è occupato da un’azienda agricola che ha riportato in vita sistemi di coltivazione e di produzione di bevande e alimenti che erano propri dei monaci certosini (e questi prodotti si trovano ovviamente in vendita in un frequentato negozio). Un’ altra parte del complesso, quella un tempo destinata al mulino, di cui rimane ancora una grande ruota in legno, ospita invece un piacevole ristorante. Negli antichi edifici destinati ad ospitare i conversi, i monaci “minori” che, non avendo pronunciato i voti solenni permettevano alla certosa di vivere, occupandosi della coltivazione delle vigne, degli orti e dei poderi, della preparazione di cibi, è stato ricavato un centro per conferenze, ritiri e seminari, che ha però mantenuto un’atmosfera di austerità monastica. La parte storica dell’edificio è stata invece divisa in due parti ben distinte ma integrate tra loro in modo perfetto.

Un lato degli edifici monastici ospita il Museo Cantonale d’Arte del Cantone di Thurgau, con interessanti opere di artisti locali, mentre l’ala opposta è stata mantenuta più fedele alla sua vocazione originaria e ospita oggi un interessante museo dedicato alla vita dell’ordine certosino. Qui, utilizzando anche manichini di monaci vestiti con il tradizionale abito bianco, si possono ripercorrere tutti gli ambienti in cui si articolava la vita religiosa della comunità, fatta di preghiera e di silenzio (chi volesse avere un quadro della vite certosina oggi non deve certo perdersi il premiato e affascinante film “Il grande silenzio” – regia di Philip Gröning, 2006 – che in tre ore senza una sola parola riesce ad affascinare lo spettatore). Le spiegazioni sono chiare e concise (non in italiano purtroppo!) e, dove possibile, sono stati conservati arredi originali.
A fare da trai d’union tra le due anime del complesso, la spettacolare chiesa rococò, ricostruita tra il 1700 e il 1760 da artisti e artigiani tedeschi secondo i canoni dello stile iperdecorato e profondamente sensuale che distingue tutti gli edifici religiosi costruiti nei paesi dell’Europa Centrale e alpina nel XVIII secolo.
Camminando nei percorsi della certosa si capita a un certo punto in un balconcino che si affaccia dall’alto sull’unica navata divisa da una grata ornata. Si tratta di una visione inaspettata ed emozionante che subito rimanda al mondo segreto e misterioso che il nostro immaginario collega a questi luoghi. Anche se la certosa venne secolarizzata alla fine del XIX secolo e convertita in una specie di maniero di campagna da un ricco industriale di san Gallo, camminando nei suoi spazi si avverte ancora una specie di residuo spirituale, un’aura che ha permeato i muri e gli arredi che sono stati recuperati per ricreare in senso museale gli spazi di vita religiosa.

Passata ai certosini nel 1461 dopo aver ospitato per più di tre secoli una comunità di canonici agostiniani, Ittingen assunse le caratteristiche proprie degli edifici dell’ordine: due chiostri, uno più funzionale su cui si affacciavano gli spazi comuni (refettorio, sala del capitolo, biblioteca) e uno più interno e intimo, attorno al quale sorgevano le casette dei monaci, piccoli ambienti privati formati da una stanza per la vita quotidiana, una camera e un piccolo oratorio, oltre che da un orto giardino privato (se ne possono vedere un paio). La comunità certosina era composta sempre da 12 monaci, nel rispetto del numero apostolico ma anche per salvaguardare l’integrità e l’omogeneità della comunità che non sarebbero state possibili allargando il numero delle vocazioni. Ecco perché ci sono sempre 12 piccole case che insistono su un chiostro, spesso tenuto a giardino, luogo segreto di delizia e riflessione, immagine stessa del paradiso.

Uno degli aspetti più interessanti del lavoro di recupero e di riqualificazione dello spazio, iniziato attorno ai primi anni Novanta del secolo scorso, è stata la restituzione della dimensione agricola e produttiva esercitata dalla certosa nei secoli. Sono stati riacquistati dei vigneti, sono state recuperati ettari di foresta convertiti in un parco, la antica pescheria, l’orto dei semplici, la cura di erbe medicinali. Si è anche creato un labirinto con siepi di timo che è uno dei luoghi più tranquilli del complesso. Non sempre quando si pone mano al restauro di un edificio storico è possibile restituirgli tutte le funzioni che ha avuto nel corso dei secoli. Normalmente la priorità viene data al restauro delle opere murarie, alla salvaguardia del patrimonio artistico ma difficilmente, anche per l’inevitabile mutamento dei contesti ambientali, si può ricostruire un’atmosfera perduta. Qui a Ittingen questo processo di restauro minuzioso e completo pare avere avuto effetto e la segnalazione di Lonely Planet mi è parsa quanto mai pertinente.

Se poi si desidera vivere un vero momento di preghiera e di raccoglimento, basta scendere una scala e trovare, in uno spazio sotterraneo anch’esso recuperato, la semplice e silenziosa cappella ecumenica, di un rigore quasi zen, dove ci si può facilmente astrarre e provare il vero valore della vita certosina: il SILENTIUM!
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