Ci sono esperienze che nascono in modo casuale, anche un po’ incosciente, ma che finiscono per lasciare un segno indelebile nella tua vita. E a farti amare una città per sempre.
Ero a Istanbul per cercare di ritrovarvi qualche ricordo del suo aspetto tardo antico. Stavo raccogliendo materiale per scrivere Heresiopolis, un romanzo storico ambientato nel V secolo che aveva proprio Costantinopoli come scenario. Verso sera, era novembre, arrivai alla fine di quella che un tempo era la via principale della città e che ora è la trafficata Ordu Cadesi. In cima al colle, uno dei sette su cui venne edificata la Seconda Roma, si apre una grande spianata. Lì sorge la moschea di Beyazit (o Bayezid), una delle più antiche ed eleganti di Istanbul, edificata nel luogo dove sorgeva un tempo la basilica di santa Maria della Fonte. Molte moschee sono edificate sul luogo di antichi insediamenti cristiani quando, come nel caso di Santa Sofia, non addirittura non utilizzano il medesimo spazio adattandolo alle diverse necessità liturgiche e iconografiche. A loro volta però le chiese cristiane erano state edificate su templi pagani, cosa che fa considerare saggiamente come sacro non tanto l’edificio in se stesso quanto il luogo su cui è stato edificato. Una grande e, a dire il vero, piuttosto brutta piazza, piena di studenti perché questa è la zona universitaria di Istanbul, precede la moschea che, anzi appare come defilata, in un angolo. Del vasto complesso che comprendeva secondo la tradizione ottomana, anche un ospedale, una scuola (madrasa), una mensa, solo la moschea ha mantenuto la sua funzione, essendo la madrasa divenuta una biblioteca e gli altri edifici convertiti a uso civile. Tuttavia l’insieme formato dalla moschea e dal bel cortile antistante, costituisce uno dei più eleganti esempi di architettura ottomana precedente alla grande rivoluzione operata nel XVI secolo dall’architetto Sinan che qui ebbe solo compiti di revisione. Il cortile colonnato (molte colonne vengono da chiese cristiane) coperto dalle quattordici piccole cupole e con al centro la tradizionale vasca per le abluzioni. è particolarmente affascinante, un luogo elegante e tranquillo anche perché qui non arrivano le comitive di turisti che rendono praticamente invivibile la Moschea Blu e in parte, quella di Solimano.

Quella sera mi capitò di farmi rinchiudere nella Bayezit Mosque all’ora della preghiera. Ero seduto in un angolo appartato, sul fondo della moschea, come sempre incantato dal mutare della luce che è uno dei veri elementi mistici degli spazi sacri, quando il muezzin iniziò l’adhān, la chiamata per la salāt al-maghrib, la preghiera del tramonto. Invece di alzarmi ed uscire, perché normalmente la preghiera non è aperta ai non credenti, me ne rimasi lì, seduto in silenzio, lasciandomi rapire da quel canto sacro che sempre mi affascina. Ben presto la moschea si riempì di fedeli e io, nascosto nel mio angolino non osai più alzarmi. Sicuramente qualcuno mi vide ma nessuno venne a scacciarmi. Le porte vennero chiuse e la preghiera iniziò, Era la prima volta che assistevo, da clandestino, a una preghiera islamica, e ne fui molto emozionato. La moschea non era piena e le file dei partecipanti non riempivano lo spazio, per cui potei starmene seduto e defilato ad osservare la sequenza di prostrazioni, genuflessioni, invocazioni che costituisce la particolarità principale della preghiera islamica. Alla fine della preghiera rimasi lì e uscendo molti dei partecipanti mi videro, alcuni passarono oltre, altri mi sorrisero, nessuno mi apostrofò per la mia impudenza. Questo fatto mi colpì molto e mi permise in seguito di assistere senza alcun timore ad altre preghiere. Sono tornato poi altre volte in questo bellissimo edificio in diverse ore del giorno ma nulla potrà mai nella mia memoria eguagliare il ricordo e l’emozione di quella sera.
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Sometimes happens that a casual situation, an unconscious experience, can change your perception of reality. For me, it happened on a November evening in Istanbul’s mosque.
I was in Istanbul to research some signs and imagine the V century Costantinopoli for my historical novel Heresiopolis. In a November late afternoon, I arrived in the large, not pretty, square atop one of the seven hills the Second Rome was built on. Here, in a corner, stand the charming Bayezid II Mosque, one of the oldest in the city, built over an ancient Christian basilica. To reuse ancient churches for the new religion was very common in the first years of Muslim domination (some of these churches/mosques are still working) but many of the same churches were built over ancient pagan temples… So you can understand that the holiness is peculiar of a site instead of a single building. Once Beyazid was a huge complex with a school, a hospital, a cuisine for pilgrims but at present days only the mosques itself and the wonderful inner yard with ancient roman columns still remain for religious use, the rest being transformed for civil use. I was sitting in a silent dark corner of the mosque when the muezzin started singing his adhān, the prayer calling for the sunset salāt al-maghrib prayer. Normally non-muslim must go out when the prayer starts but I decided to remain in my hidden corner. People came, doors were closed, prayer began. The mystical sequence of prostrations, bows, invocations, kept me and, even if not Muslim, I felt myself in deep communion with the Congregation praying to God. The prayer ended, the believers returned to their common activities. Someone gazed at me, someone was surprised, someone even smiled, no one scolded me. I was very surprised. This was my first Muslim prayer, others should come in the following years, but the emotion I felt in that Istanbul evening was unique and hard to explain.
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