Seduto davanti alla grande statua di Vishnu a Budhanilkhanta in Nepal, lascio scivolar via una giornata, osservando, sonnecchiando, aspettando. Un giorno perso? Un’esperienza unica? Un regalo? Il tempo tiranneggia la nostra vita. Talvolta, almeno quando si è in viaggio, è bello e giusto ribellarsi e fluttuare in un momento che pare non finire mai….
Bisogna imparare a prendere le cose come avvengono. Risalgo la collina di Budhanilkhanta su suggerimento di un albergatore che mi parla di un magnifico stupa dorato che si innalza ai margini del Parco Nazionale. “Anzi, aggiunge, se avrai voglia di fare un poco di fatica in più, potrai raggiungere uno stupa di monache tibetane isolato nella foresta”. Entrambe le cose mi paiono meritevoli di un poco di fatica perché la strada è davvero ripida e passa tra case e piccoli negozi davanti a cui stazionano cani fintamente assopiti. Questa zona, a nord della caotica e inquinata Kathmandu, era pacifica ed abitata da famiglie agiate: prima del terremoto del 2015 questa era la Beverly Hills locale…. (questa storia è precedente a quel tragico avvenimento che ha colpito la zona ma ha lasciato pressoché intatto il tempio). La strada si innalzava, ripida e dritta, senza alcuna curva, diminuivano il traffico e il rumore e gli unici suoni erano risate, colpi di martello su un qualche metallo lontano e lo scorrere dell’acqua di un remoto ruscello. Era una bella escursione, ricca di aspettative e suggestioni. Fui quindi assai sorpreso di scoprire che lo “stupa dorato” era rigorosamente precluso alle visite perché riservato ai membri di un’associazione; per entrare nel Parco Nazionale erano necessari un salvacondotto, da richiedere in città, e una scorta di provviste ed acqua perché il monastero era a più di due ore di cammino e le inflessibili guardie non permettevano alcuna imprudenza.

Ripresi così la strada del ritorno, osservato dai cani che, sollevando appena la palpebra, sembravano dirmi: eccone un altro che c’è cascato! Ma non riuscivo ad arrabbiarmi. Forse perché il contesto era così sereno che ripercorrerlo, oltretutto in discesa, non mi dispiaceva affatto. Ritornai quindi nel cuore del villaggio dove si trovava il recinto del tempio dedicato a Vishnu che mi ero ripromesso di vistare in un altro momento. Più che un tempio si trattava in realtà di una grande vasca dove, sdraiato su un letto di serpente, giaceva un enorme Vishnu coperto da fiori. Un grande baldacchino sanciva la sacralità di quel sonno. Si trattava del Vishnu Anantasayn, il Dormiente, che galleggia sul misterioso serpente Ananta Shesha “il caos senza tempo su cui riposa la pace stessa dell’Assoluto” (A. Morretta, Gli dei dell’India, Longanesi, pag. 122). È la calma del creatore, l’opposto del vorticoso Shiva, danzante e distruttore, quasi una prefigurazione del Buddha (che viene anche considerato uno degli avatar di Vishnu anche se l’identificazione con l’Illuminato non è pertinente).

Nella vasca si entra uno alla volta, si gettano monete, si affidano al bramino custode le offerte e si esce poi dalla parte opposta. Non c’è molto spazio per soffermarsi ed osservare perché sono moltissimi i pellegrini che vengono fin quassù a contemplare questa personificazione della pace e tutti reclamano il tempo per l’offerta e la contemplazione. Mi siedo allora su un gradino da cui si possa avere una buona visione della vasca e lascio che il tempo passi, osservando i colori degli abiti delle donne, la rumorosa reverenza di una classe di bambini in divisa arancione, scortati da giovanissime maestre, la calma dei vecchi con il caratteristico cappello nepalese, la serietà dei giovani che inanellano giri su giri attorno al recinto in segno di preghiera ambulante. Poco più a valle c’è anche un piccolo mercato in cui si vendono focacce. Ne acquisto alcune con dell’acqua e mi rimetto a osservare il flusso e ad assorbire la pace cosmica del Dormiente. Il tempo passa, sento che dovrei fare qualcosa, trovare un motivo per completare quella giornata che era nata sotto ben altri auspici, ma Vishnu mi ha incatenato al gradino e non riesco a trovare un buon motivo per alzarmi da lì. E sia allora. Il tempo non è uniforme. Le ore non sono tutte uguali anche se sugli orologi la lancetta gira sempre alla stessa velocità. Una scheggia di quel riposo dell’Assoluto, che quella grande statua coperta di fiori rappresenta, vuole insinuarsi in me. E io la lascio fare. Cosa mi importa dell’orologio?
OGNI ARTICOLO DIVENTA UN VIAGGIO! SE SEI INTERESSATO A ORGANIZZARE UN VIAGGIO SUI TEMI TRATTATI DA CITYPILGRIMBLOG LEGGI QUI
2 commenti