Tiantai, Cina: oltraggio e pentimento: il giorno che offesi cinquanta monaci!

Questi giorni freddi e piovosi mi hanno riportato alla mente un episodio, accaduto in Cina, proprio alla fine di dicembre di qualche anno fa, che vorrei raccontarvi per far capire come, anche se ci si crede rispettosi, attenti, preparati, la conoscenza dei codici di comportamento deve passare per una profonda interiorizzazione dei messaggi.

Le colline dello Zhejiang erano coperte di neve, il ghiaccio disegnava i profili degli alberi e un cielo grigio nascondeva ogni poesia. Tiantai era lassù, infilato in una valle, dove il freddo pareva essere ancora più pungente. Una via nobile, che fiancheggiava un torrente, saliva, scandita da stele e piccoli monumenti, verso il monastero. Qualche monaco, uscito da una piccola locanda che si era trasformata in un moderno punto di ristoro, punteggiava il paesaggio di un tenue color arancione. Valicai il piccolo ponte che portava all’ingresso del grande complesso, uno dei principali centri spirituali del buddismo cinese,  luogo d’origine della scuola omonima diffusasi in Corea e poi in Giappone con il nome di Tendai. Era un grande, affascinante, silenzioso monastero, con tutte le sale che caratterizzano un luogo di culto cinese disposte in ordine assiale sul fianco di un leggero pendio che generava piccoli dislivelli, superati con rampe di scale che accentuavano il valore scenografico del luogo. Vagai per ore tra padiglioni, passando da cortili dove dominava il colore ocra, che distingue in Cina gli edifici buddisti, ad altri più dimessi e austeri, dove il colore dominante era invece il grigio. Anche se apparentemente deserti nel gelo del mattino, i padiglioni ricevevano profumate offerte di incensi dai grandi bracieri che si trovavano davanti ai loro ingressi.

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Ancient Chinese incense burner ph. Maria Lecis

Ricostruire un percorso tra gli spazi sacri di quel grande monastero dove, cosa ormai non troppo frequente in Cina, esistevano ancora gli assi secondari paralleli a quello principale lungo cui erano allineati i padiglioni principali, era la mia priorità e il tempo passò veloce. Era ormai pomeriggio quando vidi dei monaci dirigersi verso un grande padiglione che avevo già visitato nel mattino e che era in gran parte vuoto, eccetto per alcune ordinate file di cuscini arancioni disposti sul pavimento, davanti a una grande statua del buddha Sakyamuni. Li seguii ma trovai questa volta  i cuscini in gran parte occupati da monaci di età diverse che erano in attesa di iniziare una cerimonia. Feci per ritirarmi ma uno di loro mi indicò alcuni cuscini disposti lungo il fianco del padiglione.

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Buddhist prayer’s pillows ph. Maria Lecis

Mi tolsi le scarpe e, camminando con la maggior disinvoltura possibile, accompagnato dallo sguardo di una cinquantina di monaci dal capo rasato,  mi sedetti nel luogo indicato. La cerimonia iniziò presto e con essa i canti dei sutra e un leggero battere di cembali. La luce era fioca, le litanie ammalianti, la tensione per una giornata di scoperte si andava allentando e un vago torpore iniziava ad impossessarsi di me. Fu così che commisi l’errore. Senza pensarci accavallai le gambe e rivolsi quindi la palma del piede verso la statua del Buddha. Vidi subito un monaco anziano sussurrare qualcosa all’orecchio di uno più giovane che si alzò veloce e si diresse verso di me indicando con l’indice il mio piede sconveniente. Dapprima non capii, poi appena mi resi conto di quel che avevo commesso, abbassai subito la gamba, cercando di assumere una posa più consona, ma era troppo tardi. Il monaco giovane si chinò verso di me, fece cenno di alzarmi,  indicò la statua del Buddha e mi fece capire che dovevo dirigermi verso il centro della sala. Qui, accompagnato dagli sguardi di tutta l’assemblea, mi venne mostrato quale fosse il modo per espiare il mio oltraggio.

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Incense sticks burning in a Chinese Temple ph. Maria Lecis

Dovetti prostrarmi venti volte, almeno credo che fossero venti, non le contai. Mi alzavo a sedere e poi appoggiavo la fronte sul pavimento davanti alla statua del Buddha impassibile, fino a che il monaco che si era preso carico della penitenza mi sfiorò la spalla per indicarmi che ormai avevo espiato a sufficienza e potevo tornare al mio posto di osservatore. Mentre mi prostravo tutti avevano continuato a salmodiare i loro sutra, senza dar segno di preoccuparsi di me, ma mentre ritornavo verso lo spazio a me riservato due monaci anziani sibilarono con tono di evidente disprezzo “Sokka Gakkai”. Mi avevano scambiato per un seguace della setta giapponese per cui evidentemente non nutrivano alcuna stima. Rimasi immobile e mortificato fino al termine della funzione. Poi, appena i sutra si spensero (quanto tempo era passato?) me ne uscii fuori, cercando di non dare nell’occhio. Era scesa la sera e poche luci segnalavano il percorso tra i padiglioni che avevano assunto un tono quasi spettrale. Non incontrai anima viva.

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