Il legame tra la Compagnia di Gesù e la capitale dell’Impero Cinese è sempre stato molto forte. Tracce di questa storia, fatta di dialoghi e incomprensioni, emergono insospettate nella Pechino di oggi.
Abbastanza lontano dalle rotte turistiche, il Tempio di Wuta (letteralmente delle Cinque Pagode) è un luogo strano e silenzioso, ormai sconsacrato e divenuto un bellissimo museo di scultura cinese classica. Il suo nome deriva da una notevole costruzione in stile indiano, un tempio con base quadrata sulla cui terrazza sorgono cinque pagode, ispirate, si dice, da quelle del grande tempio di Bodh Gaya. Nei cortili sono sistemate centinai di stele funerarie, in stile classico cinese, con preziose iscrizioni calligrafiche. Guardandole con attenzione ci si accorge però che su alcune di queste stele compare una croce. In un solo sguardo l’architettura buddista indiana, l’arte confuciana della stele memoriale e il simbolo cristiano possono quindi essere unite a testimonianza della grande capacità della civiltà cinese di accogliere e metabolizzare pensieri e religioni provenienti da paesi lontani. Fu così con il buddismo indiano, con il manicheismo persiano e con il cristianesimo orientale nestoriano tra il V e il X secolo. Quando i gesuiti arrivano in Cina la religione cristiana ormai era ormai dimenticata e i grandi “camaleonti” della fede cristiana dovettero inventarsi un nome, un pensiero, un legame, che non possa essere inteso come un’ingerenza nella vita dell’Impero. Erano uomini straordinari questi pionieri della missione, dal più famoso di loro, Matteo Ricci, ad Adam Bell von Schall, al geniale matematico Verbiest, al pittore Castiglione, tutti sepolti a Pechino. Le lapidi di Wuta ricordano invece altri umili padri, per lo più di origine francese, come indica il termine “gallus”, che vissero e operarono “da cinesi” sotto la dinastia Qing. prima di dover rinunciare ai loro visionari progetti per cause legate più ai loro rapporti con la Chiesa che a quelli con il potere imperiale cinese.

Sorpreso da un temporale improvviso, mi rifugio poi nell’Osservatorio Antico. Anche qui c’è una terrazza, ricavata su uno dei rari tratti sopravvissuti delle antiche mura dei Ming, dove, in luogo delle pagode, si trovano fantastici strumenti scientifici in ferro e bronzo che proprio gli scienziati gesuiti idearono, vestendoli di forme simboliche locali, per aiutare la progressione della scienza cinese. Era un apporto assai importante perché proprio da una corretta lettura dei tempi astronomici dipendeva la definizione dei riti imperiali. Camminavo più tardi per Wanfujing, la grande strada pedonale di Pechino, dove si trovano enormi centri commerciali e le insegne delle principali griffe della moda segnano il territorio come animali da preda. Qui in una piccola piazza si incontra una chiesa: la Cattedrale dell’Est, dedicata san Giuseppe. Mi ricordavo questo luogo come abbastanza tranquillo e remoto, l’ho ritrovata piena di gente che la utilizza per ogni tipo di gioco. Davanti alla porta della chiesa, chiusa essendo ormai sera, una donna cinese di mezza età pregava a braccia aperte, incurante delle urla, dei volani che le cadevano tra i piedi, dello sfrecciare di bimbi scatenati. Ed è rimasta così, ferma nella sua preghiera davanti a questa chiesa che i Gesuiti eressero nel XVIII secolo per tutto il tempo che l’ho osservata. Il rapporto tra istituzioni in Cina è oggi sicuramente difficile: c’è una Chiesa Patriottica, mentre l’altra, fedele a Roma, è sommersa, ma il semplice gesto di fede della donna a braccia aperte di fronte alla Cattedrale di san Giuseppe può essere una risposta. Non istituzioni ma sentimenti, come quelli che spinsero i primi Gesuiti a sfidare lo spazio e il tempo e a raggiungere l’allora impenetrabile impero cinese.
LO SPIRITO DI PECHINO – citypilgrimbooks

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Jesuits in China is a story of boundaries and struggles. Walking in Beijing, you can find signs of this charming story hidden in uncommon places.
Out of the tourist’s maps, Wuta temple is a lonely silent site, now hosting the Beijing Stone Carving Museum. In the middle of the ground stands a huge stone cube topped with five Indian-shaped pagodas. In the surrounding courtyard are thousands of tombstones in classical Confucian style, with calligraphies and decoration. However sometimes you can see some Christian crosses as well: the tombstones of Jesuits priest, mostly French. At a glance, you can have Chinese style in carving, Indian architecture, Christian symbols, a sign of the typical Chinese attitude to reach foreign influences: Buddhism from India, Manicheism from Persia, Nestorian Christianity from Syria. When the Jesuits arrived in China, in the XVII century they didn’t find any trace of the former Christian existence, so, the great “Faith’s Chameleons” had to invent a new name, a new story, and new skills to enter the Emperor’s Court.
Later, a sudden hard rain pushes me to repair in the Ancient Observatory, one of the few remaining sections of the Ancient Ming Wall, that has a platform on the top where fantastic bronze and iron astronomical instruments stand like sculptures, shaped like dragons and snakes. The Jesuits scientist changed the vision of Chinese astronomy and made the regulation of imperial rites more precise. In the evening, walking in glittering commercial Wangfujing, the glamorous street in Beijing Centre, I found myself in the small square in front of the Eastern Cathedral, the Former Jesuit St Joseph’s Church. The square, once silent and peaceful, is now a kind of noisy playground. Just in front of the church door, closed in the evening time, a Chinese woman was praying, her arms opened, an eye fixed at the door, indifferent about noise, runs, and games. Catholicism has complicated life in today’s China: a Patriotic Church from one side and a Vatican’s faithful hidden church on the other. Looking at the simple, deep prayer of the woman outside the Cathedral I guess if an answer could be the simple, emotive faith, far from the institutional games, the same, strong, emotive faith that moved early Jesuits from Europe to great mysterious China.
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