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I Benedettini Camaldolesi, nati nel X secolo, costituiscono un audace tentativo di combinare le due forme di vita più consuete tra gli ordini contemplativi: quella eremitica e quella cenobitica.
L’abbazia di Camaldoli, casa-madre e origine del movimento, è la sintesi vivente di questa dicotomia in cui il cenobio e l’eremo si completano a vicenda.
The Camaldolese Benedictines, born in the 10th century, constitute a daring attempt to combine the two most usual forms of contemplative life: hermitic and cenobitic.
The Abbey of Camaldoli, mother-house and birthplace of the movement, is the living synthesis of this dichotomy in which the cenoby and the hermitage complement each other.
POCHI MA BUONI
Pochi ma buoni, così si potrebbero definire i monaci camaldolesi, eredi di una tradizione benedettina particolare. L’antica vocazione all’accoglienza, che è una delle peculiarità più antiche per la famiglia monastica fondata da san Romualdo da Ravenna attorno al 980, ha fatto in modo che la grande foresteria annessa al monastero di Camaldoli, in provincia di Arezzo, sia diventata un luogo di riferimento per i cercatori di silenzio.
Few but good, that is how you could define the Camaldolese monks, heirs to a peculiar Benedictine tradition. The long-standing vocation for hospitality, one of the oldest features of the monastic family established by Saint Romuald of Ravenna in 980, has made the large guesthouse next to the monastery of Camaldoli, in the province of Arezzo, a benchmark for lovers of silence.
DUE VITE IN UNA
La peculiarità della Congregazione Camaldolese che è anche il motivo principale del suo fascino inalterato col passare degli anni, risiede nella sua duplice connotazione: cenobitica ed eremitica. Chi ha visitato Camaldoli ha ben presente il grande e severo monastero “basso”, una struttura tradizionale con chiostri, la chiesa e la grande e attrezzata foresteria, come si richiede a ogni istituzione benedettina, a cui si affianca però, più in alto, quasi nascosto tra gli abeti, il silenzioso Eremo, con le casette allineate sul pendio e la piccola raccolta chiesa.
Sotto vivono i monaci, che conducono una vita attiva di studio, preghiera, accoglienza e lavoro, sopra gli eremiti, silenziosamente raccolti nella meditazione. Quale nesso lega i due mondi, apparentemente tanto diversi tra loro?
The uniqueness of the Camaldolese Congregation, and the main reason for its unchanged appeal over the years, is in its dual nature: cenobitic and hermitic. Whoever has visited Camaldoli is familiar with the large, austere “low” monastery, a traditional structure with cloisters, the church and the spacious, well-equipped guest house, as any Benedictine institution requires. However, it is flanked, higher up, and almost hidden among the fir trees, by the silent Hermitage, with its small twelve huts lined up on the slope and the small, intimate church.
The monks live on the lower level, conducting an active life of study, prayer, hospitality and work, while the hermits live in silent meditation on the upper area. So what links the two worlds, apparently so different from each other?

LA VISIONE DI ROMUALDO
Romualdo, il fondatore della famiglia benedettina camaldolese, instancabile cercatore di una formula monastica perfetta, aveva ben presente il sistema delle laure, i piccoli villaggi dove gli eremiti conducevano la loro vita di preghiera in abitazioni indipendente, tipiche del monachesimo egizio e palestinese dei primi secoli.
Romualdo, che visse nel X secolo, sapeva bene che non tutti gli spiriti sono pronti ad affrontare una vita tanto difficile e tanto probante. Sapeva anche che il “mondo” è sempre in agguato con le sue tentazioni, pronto a far desistere l’eremita dalla sua estrema vocazione. Ecco allora l’idea di istituire un cenobio collegato all’eremo, visto quasi come un filtro, una intercapedine di preghiera posta tra il rigore della pura ascesi e la vita del mondo esterno. Una specie di “palestra” pensata per gli spiriti meno forti, ideale per temprare la propria virtù monastica.
Romuald, the founder of the Camaldolese Benedictine family, a tireless searcher for a perfect monastic model, was very familiar with the system of the lauras, small hamlets where hermits conducted their life of prayer in independent dwellings, which was typical of Egyptian and Palestinian monasticism in the early centuries.
Romuald, who lived in the 10th century, was well aware that not all spirits are ready to face such a difficult and demanding life. He also realised that the “world” was always lurking with its temptations, always ready to discourage the hermit from his extreme vocation. Hence the idea of setting up a cenobium associated with the hermitage, regarded almost as a filter, an interspace for prayer between the strictness of pure asceticism and the life of the outer world. A sort of “gymnasium” designed for weaker spirits, an ideal place to strengthen monastic virtue.
UNA FORMULA MAGICA
La reclusione, come ultima e più rigida forma della spiritualità, è per i Camaldolesi una scelta avanzata e possibile ma non certo obbligatoria o determinante nella vita di un monaco. Rimane un atto volontario e di durata variabile secondo le capacità del monaco – eremita.
Diversamente da quanto avviene per altri ordini contemplativi (vedi i Certosini), la spiritualità camaldolese non esalta quindi solo i valori della preghiera e della meditazione ma è anche aperta anche all’assistenza, all’ospitalità e persino all’apostolato presso gli infedeli, considerato anzi dal beato Bonifacio, uno dei primi discepoli del fondatore, come l’atto di estrema unione con Cristo.
For the Camaldolese, seclusion, as the last and strictest form of spirituality, is an advanced and possible option, but certainly not compulsory or determining in the life of a monk. It remains a voluntary act of variable length, depending on the monk’s abilities as a hermit.
Unlike other eremitic orders (such as the Carthusians), Camaldolese spirituality exalts not only the importance of prayer and meditation, but is also opened up to assistance, hospitality and even the apostolate among the unbelievers, considered by Blessed Boniface, one of the founder’s first disciples, as the ultimate act of union with Christ.

SAN PIER DAMIANI IL SECONDO FONDATORE
Il severo monaco ravennate Pier Damiani (1007-1072) può essere considerato il secondo fondatore della Congregazione Camaldolese. Dall’amato eremo di Fonte Avellana, che divenne sede di una Congregazione parallela a quella di Camaldoli e che può essere considerata il primo embrione della futura Congregazione riunita, Pier Damiani tuonava all’indirizzo di tutta la cristianità. I papi lo ascoltavano, lo temevano e gli affidavano delicate missioni diplomatiche; gli altri monaci lo fuggivano per timore della sua severità e per il suo zelo eremitico. Fecondo e capace scrittore, Pier Damiani fu anche un abile organizzatore. Se la Congregazione Camaldolese superò la delicata fase di passaggio da pletora non omogenea di fondazioni, con l’unico denominatore comune nella figura del fondatore Romualdo, a un insieme organico e destinato a durare nei secoli lo dovette proprio all’azione di questo dotto e “difficile” ravennate.
The austere monk from Ravenna, Pier Damiani (1007-1072) can be regarded as the second founder of the Camaldolese Congregation. From his beloved hermitage at Fonte Avellana, which became the seat of a parallel Congregation to Camaldoli and can be regarded as the first embryo of the future united Congregation, Pier Damiani shouted to the whole of Christendom. The popes listened to him, dreaded him and entrusted him with delicate diplomatic missions; the other monks fled him for fear of his severity and his eremitical zeal. Damiani was a learned and capable writer, but he was also a skilled organizer and if the Camaldolese Congregation overcame the delicate phase of transition from a plethora of non-homogeneous foundations, with the only common denominator in the figure of the founder Romuald, to an organic whole destined to last over the centuries, it was due to the action of this learned and “difficult” Ravenna man.
ORDINE D’ELITE?
La storia dei Camaldolesi, forse per questa sua scelta sofisticata ed originale, non è mai stata caratterizzata da trionfali espansioni: fin da principio infatti i monasteri della congregazione non superano l’ambito nazionale. In molti casi si tratta anzi di monasteri benedettini tradizionali che vengono posti d’ufficio sotto la giurisdizione camaldolese perché vi imponga una esemplare opera di riforma. Col passare dei secoli neppure i loro austeri eremi vengono risparmiati dalla decadenza facendo precipitare la congregazione in uno stato di profonda crisi da cui sopravvivono solo due fondazioni: Camaldoli e San Michele di Murano.
The Camaldolese history, maybe for this sophisticated and original option, was never marked by triumphant expansions: from the beginning, the monasteries of the congregation did not expand further than the national borders. Indeed, the monasteries were often traditional Benedictine ones placed ex officio under Camaldolese jurisdiction to undertake an outstanding work of reform. Over the centuries, even their austere hermitages remained untouched by decadence, causing the congregation to fall into a state of deep crisis from which only two foundations survived: Camaldoli and San Michele di Murano.
LA RIFORMA DI MONTE CORONA
Nel 1510 un monaco di nobile famiglia veneziana, varca le soglie di Camaldoli in cerca di pace. Si chiama Paolo Giustiniani, ha alle spalle una giovinezza turbolenta, una sofferta conversione e da qualche anno cerca, vagando di monastero in monastero, il luogo dove ritirarsi in pace. Giunge infine all’eremo camaldolese e per dieci anni vi conduce una vita esemplare di preghiera e meditazione. Malgrado le sue ripetute professioni di umiltà, fra Paolo Peccatore, come vuole essere chiamato, si distingue subito dagli altri fratelli per la preparazione umanistica e per lo spirito ardente. Nel 1513 gli viene quindi affidato il compito di redigere la compilazione dei testi legislativi della tradizione camaldolese. Questa opera lo spinge ad approfondire lo spirito delle origini e il confronto con la realtà lo rattrista. Nel 1520 Paolo lascia il cenobio, fondando numerosi eremi tra l’Umbria e le Marche in cui applicare il nuovo codice di vita. Tra questi Monte Corona, nei pressi della città umbra di Umbertide, che darà il nome a tutto il movimento di riforma.
In 1510, a monk from a noble Venetian family stepped over the threshold of Camaldoli in quest of peace. His name was Paolo Giustiniani, he had a turbulent youth, a painful conversion and for some years he had been searching, wandering from monastery to monastery, for a place where he could retire in silence. He finally arrived at the Camaldolese hermitage and for ten years led an exemplary life of prayer and meditation. Despite his repeated professions of humility, Brother Paolo the Sinner, as he wished to be called, immediately distinguished himself from the other brothers by his humanistic preparation and ardent spirit. In 1513 he was assigned to compile the legislative texts of the Camaldolese tradition. This work prompted him to deepen his understanding of the spirit of the origins and he was saddened by the comparison with the real situation. In 1520 Paolo left the cenoby, founding numerous hermitages between Umbria and Marche in which he applied the new standard of life. Among these was Monte Corona, near the Umbrian town of Umbertide, which would give its name to the whole reform movement.

SECOLI DIFFICILI
Neppure la riforma di Monte Corona riuscirà però a dare nuovo impulso alla piccola congregazione, anche perché è improntata esclusivamente all’esaltazione dell’aspetto eremitico. I secoli delle soppressioni non risparmiano l’Istituzione, non certo fiorente per vocazioni e numero di case. Ciò nonostante le tre Congregazioni superstiti (Camaldoli, San Michele, Monte Corona) non accettano il progetto di unificazione che la Santa Sede propone nel 1925. Solo nel 1935 Camaldoli e San Michele si uniranno nell’attuale Congregazione mentre continuerà a sopravvivere autonomamente quella di Monte Corona. La Congregazione Camaldolese possiede anche un ramo femminile.
However, even the reform of Monte Corona did not succeed in giving new impetus to the small congregation, also because it was exclusively based on the enhancement of the hermitic aspect. The centuries of suppressions did not spare the Institution, which did not flourish in vocations and number of communities. Nevertheless, the three surviving Congregations (Camaldoli, San Michele, Monte Corona) did not accept the unification project proposed by the Holy See in 1925. Only in 1935 did Camaldoli and San Michele unite to form the present Congregation, while the Monte Corona Congregation continued to survive independently. The Camaldolese Congregation also has a female branch.

UNA SCELTA AFFASCINANTE
Il fascino di Camaldoli ha coinvolto negli ultimi decenni molti giovani, ansiosi di scoprire quella dimensione fatta di preghiera, ascolto, meditazione ma anche di dialogo e incontro che difficilmente può essere riscontrata altrove. I Camaldolesi hanno sempre avuto un atteggiamento curioso verso le peculiarità del tempo: aprirono le porte all’umanesimo fiorentino, dotarono i loro monasteri e i loro eremi di ricche biblioteche, favorirono lo sviluppo delle arti. Questa apertura, in contrasto con la tradizionale concezione dell’eremita visto come l’uomo che fugge e non come l’uomo che incontra, ha costituito e costituisce un innegabile polo di attrazione. Il monaco camaldolese è spesso un uomo disponibile, preparato culturalmente, a conoscenza di problemi del mondo, in grado di capire e di ascoltare e, quando necessario, di isolarsi negli spazi profondi della meditazione.
The charm of Camaldoli has attracted many young people in the last decades, eager to discover a dimension made of prayer, listening, meditation but also of dialogue and contact that can hardly be found elsewhere. Camaldolese monks have always been curious about the peculiarities of their time: they welcomed Florentine humanism, endowed their monasteries and hermitages with rich libraries, and encouraged the development of the arts. This openness, in opposition to the traditional view of the hermit as a man who flees rather than a man who meets, was and is an important pole of attraction. The Camaldolese monk is often a friendly man, culturally prepared, familiar with the world’ s problems, able to understand and listen and, when necessary, to isolate himself in the deep spaces of meditation.
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