Dopo Sri Kalasthi e Kanchi il mio viaggio nei cinque santuari dedicati agli elementi sacri a Shiva (Pancha Bootha Stalam), tocca Tiruvannamalai, piccola città santuario dominata dal sacro monte vulcanico Arunachala, considerato esso stesso un lingam, e sede di uno dei più grandi templi dell’India (a questa città ho già dedicato un post riservato ai diversi codici di meditazione). Il fuoco, a cui questo grande tempio è dedicato, distrugge ogni tipo di impurità, allo stesso modo il fuoco divino, che è Shiva stesso, distrugge l’oscurità dell’ignoranza e dell’egoismo che ogni uomo ha in sé. Molto fuoco deve bruciare in noi per dissipare le tenebre del nostro egoismo ma esserne consapevoli può essere considerato un passo avanti nella comprensione del mistero!

Yhoti LIngam
Viandanti dai lunghi capelli appoggiati a bastoni e sadhu sono una presenza comune a Tiruvannamalai, città, piccola e discretamente caotica, che sembra vivere solo in funzione dei suoi templi. Durante la festa annuale del Karthikai Deepam, che si volge durante il plenilunio di novembre, la città è invasa da migliaia di pellegrini. Allora, sulla cima del monte Arunachala, si vede ardere per giorni una grande fiamma, memoria del fuoco originario. Io ci sono venuto in un tranquillo giorno d’estate, in cui la città era percorsa da un’animazione serena, che mi ha permesso di viverne gli spazi senza essere travolto dalla devozione.
Per i pellegrini venire a Tiruvannamalai non significa visitare solo un tempio, seppur grande e importante, quanto piuttosto immergersi in uno spazio sacro che comprende tutto il territorio . Esiste un percorso circolare di 14 chilometri che aggira la base della montagna sacra, un tondeggiante rilievo di 800 metri (su cui si può anche salire con un sentiero, toccando piccoli santuari e templi secondari) e viene percorso in senso antiorario dai pellegrini come se si trattasse di una vera e propria deambulazione attorno a un altare.
Il tempio principale, lo Arunachalaswarar, che si appoggia alla sacra collina sul suo versante orientale, ha origini antichissime; fu edificato probabilmente in epoca Pallava (V-VIII sec d.C.) ma da allora ha subito numerose ristrutturazioni, perché ogni dinastia succedutasi in questa parte di India ha voluto lasciarvi il proprio segno.
Nel XIV secolo Tiruvannamalai era la capitale del regno Hoysala e il tempio ne era il centro spirituale e proprio in questo periodo raggiunse il massimo splendore.
Oggi mi appare come un classico tempio dravidico, con un’elaborata pianta di corridoi coperti e grandi cortili presidiati da possenti gopuram decorati con migliaia di figure, che sono colorate solo in quello che svetta sopra l’ingresso principale, detto Rajagopuram, che si sviluppa su 11 piani per un’altezza di 66 metri.

Qui il dio Shiva si manifestò a Vishnu e Brahma, che disputavano su chi fosse il vero creatore dell’universo, sotto forma di colonna di fuoco, simbolo della colonna cosmica infinita. Curiosi di sapere le origini di questa colonna di fuoco, i due dei presero sembianze animali. E così Vishnu divenne cigno, librandosi verso il cielo e cercando di raggiungere il limite superiore della colonna, mentre Brahma fu cinghiale e iniziò a scavare nella terra. Dopo giorni di ricerca, i due dovettero rassegnarsi e interruppero la ricerca, alzando preghiere alla colonna ignea perché si manifestasse nella sua misteriosa realtà. Fu allora che apparve Shiva in tutta la sua potenza, circondato da tutti i suoi simboli divini, annunciando che lui, e solo lui, era il vero generatore e che loro stessi erano nati da lui. Da allora, con un curioso equilibrio tra una visone monoteistica a un’affermazione trinitaria, i tre sono stati considerati come tre diversi aspetti del divino. Così almeno raccontano alcuni antichi testi sacri, anche se in India tradizioni, narrazioni e credenze hanno variabili infinite.
Oggi il fuoco di Shiva si è solidificato in un lingam di pietra, scolpito nella roccia, che si venera in una scura nicchia nel retro del santuario. Conviene accedere al tempio dall’ingresso principale, che si trova in perfetto asse con quello del santuario interno, ed è presidiato da bancarelle di venditori e orde di mendicanti. Avanzare in mezzo a quel turbinare di colori, profumi, odori, suoni, mani che si allungano è di per sé un’esperienza fortificante.
Una volta all’interno del tempio si incontrano subito due sale a colonne e da quel momento in poi si entra in una dimensione spaziale affascinante, superando porte e cortili, bacini, sale oscure, ognuna con una leggenda, un’apparizione, un culto particolare tanto che è impossibile orientarsi in questo labirinto di significati.

Per questo mi pare preferibile, piuttosto che cercare di capire i troppi codici visivi e spirituali che segnano gli spazi del tempio, lasciarsi guidare dai particolari che attraggono l’occhio. Il viaggio nei templi di Shiva mi sta rendendo sempre più partecipe della loro dimensione fisica e spirituale. Col passare i giorni, anche il mio atteggiamento si è fatto meno timoroso e diffidente, permettendomi di osservare con più tranquillità quanto avviene accanto a me. Sono proprio gli spazi a essermi diventati più familiari, mentre le pratiche compiute dai devoti continuano a rimanere misteriose. Ma non ho alcuna fretta né alcun desiderio di scoprirle.
Fuoco distruttore, fuoco purificatore, fuoco che ruota nelle lampade dei bramini, fuoco su cui le mani scivolano prima di passare sul viso. Fuoco di Shiva. Il fuoco, il purificatore dei desideri, non si è manifestato con un lingam poderoso, né con una folgore, ma con pensieri che si rincorrono nella mente e nel cuore illuminandone angoli segreti.
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After Sri Kalasthi and Kanchi, my journey to the five shrines dedicated to the sacred elements of Shiva (Pancha Bootha Stalam), drives me to Tiruvannamalai, a small sanctuary town dominated by the sacred Mount Arunachala, considered itself a lingam, and home to one of the greatest temples in India (I have already dedicated a post reserved for this city to the different codes of meditation). The fire, to which this great temple is dedicated, destroys all kinds of impurities, the divine fire that is Shiva himself, destroys the darkness of ignorance and selfishness.
Yhoti LIngam
Long-haired beggars, gurus, and sadhu are everywhere in this small and discreetly chaotic city, which seems to live only for its temples. During the annual festival of the Karthikai Deepam, the full moon in November, the city is literally invaded by pilgrims. Then, on the top of Mount Arunachala, you can see a large flame burning for days, a memory of the original fire.
I came here on a quiet summer day, the city was filled with serene animation, perfect to live its spaces without being overwhelmed by devotion.
For Indian pilgrims coming to Tiruvannamalai does not mean visiting a temple, even if large and important, but rather a sacred space that includes the whole territory. There is a circular route of 14 kilometers that surrounds the sacred mountain, a roundish relief of 800 meters, on which you can also climb with a path, touching small sanctuaries and secondary temples, that pilgrims do counterclockwise as walking around an altar. The main temple, the Arunachalaswarar, rests on the sacred hill at the foot of its eastern slope. The temple has ancient origins; it was probably built in the Pallava era (V-VIII century A.D.) but since then it has undergone numerous renovations because every dynasty that succeeded in this part of India has wanted to leave its mark on it.
In the 14th century, Tiruvannamalai was the capital of the Hoysala kingdom and the temple was its spiritual center and it was precisely in this period that it reached its maximum splendor.
Today it seems to me like a classic Dravidian temple, with an elaborate plan with dark halls and courtyards with huge gopurams decorated with thousands of figures, which are colored only in the Rajagopuram, which is spread over 11 floors and a height of 66 meters.

Here the god Shiva manifested himself to Vishnu and Brahma, who were arguing over who the true creator of the universe was, in the form of a column of fire, a symbol of the infinite cosmic column. Curious to know the origins of this column of fire, the gods took on animal appearance. Vishnu became a swan, hovering skywards and trying to reach the upper limit of the column, while Brahma was a wild boar and began to dig into the earth. After days of research, the two interrupted their research, raising prayers to the Igneous column’s mysterious reality. It was then that Shiva appeared in all his power, surrounded by all his divine symbols, announcing that he, and only he, was the true generator and that they themselves were born of him. Since then the three have been considered as three different aspects of the divine.
Today, the fire of Shiva is just a stone lingam, carved into the rock, which is venerated in a dark niche at the back of the sanctuary. Better to access the temple from the main entrance, which is in perfect axis with the internal sanctuary, and is guarded by stalls of burglars and beggars. Walking in the midst of colors, perfumes, smells, sounds, hands that stretch out is in itself a fortifying experience.
Once inside the temple you will immediately meet two columned halls and enter a fascinating spatial dimension, passing doors, and courtyards, basins, dark rooms, each with a legend, an apparition, a particular cult so that it is impossible to find your way through this maze of meanings.
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