Una scena vista nella piazza di Kathmandu, in Nepal, mi ha fatto nascere una domanda “scabrosa” e sicuramente merita una riflessione condivisa perché coinvolge uno degli aspetti più diffusi e controversi della religiosità: l’offerta in denaro.
Sulla piazza di Kathmandu c’è una statua di una divinità su cui i devoti locali depongono banconote, monete, frutti e ogni cosa ritengano degna di essere donata a un dio. Si tratta di una divinità tutelare che, secondo la tradizione locale, porta benefici e fortuna a chiunque le si rivolga. Per questo i fedeli nepalesi sono soliti deporre ai suoi piedi offerte in denaro come pure frutta o altri generi alimentari. Donare anche oggetti concreti è infatti una pratica usuale in Oriente dove il rapporto con la divinità è da intendersi più come diretto che puramente spirituale.
Questa la scena “scandalosa”: sotto la statua di Kathmandu stazionano dei ragazzini, dei mendicanti, che senza alcun pudore o esitazione, appena l’offerta viene deposta dai fedeli, si arrampicano sulla statua e la intascano. Nessuno però se ne preoccupa. Nessuno inveisce. Nessuno attribuisce loro intenti blasfemi. Tutto avviene in modo spontaneo o naturale, chi ha lasciato l’offerta, che spesso si trova a non più di qualche metro di distanza, non se ne preoccupa più, chi se la intasca non se ne vergogna. Diversamente da quanto avviene in Occidente, dove “rubare in chiesa” viene considerato un atto talmente ignobile da essere usato come esempio di azione abietta, qui sottrarre delle offerte alla divinità non suscita alcuna reazione.
Da questa constatazione deriva quindi una domanda: una volta che il denaro viene offerto alla divinità chi ne è responsabile? Sempre il donatore, che può quindi rivendicare un uso a lui gradito della sua offerta, o il ricevente, la divinità, che permettendo l’azione dei ragazzi sostanzialmente la approva? In sintesi: quei soldi sono di Dio o per Dio? E i devoti, una volta che li hanno offerti, se ne devono ancora preoccupare e hanno il diritto di indirizzare la propria donazione? La questione è certamente complessa perché le offerte in denaro o in beni servono, soprattutto nella tradizione occidentale, a finanziare opere pubbliche e a generare beneficenza, quando non si tratta di ex voto dati in cambio di una grazia ricevuta. In Oriente invece si tratta più spesso di offerte rogatorie, lasciate con la speranza di ottenerne in cambio fortuna e favori. Tuttavia la riflessione sulla gratuità dell’offerta e il distacco necessario a renderla davvero pura, una volta effettuata, potrebbero ( o dovrebbero?) indurre anche i cristiani a non preoccuparsi del suo uso, privilegiando l’atto o il pensiero, rendendoli così consapevoli che anche un mendicante o un ladruncolo è un meritevole beneficiario di carità. Difficile trovare una posizione condivisa a riguardo. Vi trasmetto solo il mio stupore, il mio disagio e la mia riflessione. Occidentali e orientali sembrano avere un differente atteggiamento a riguardo! Naturalmente ogni commento, esperienza o riflessione a riguardo è più che gradito!

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L’ha ribloggato su The City Pilgrim Projecte ha commentato:
Vorrei ripubblicare la versione ampliata e approfondita di uno dei mie primi post perché ritengo il tema quanto mai d’attualità!
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