Ci si può ancora fidare di Confucio? Mi pongo questa domanda mentre mi avvicino a quello che viene considerato il più importante luogo religioso della capitale del Vietnam.I miei dubbi non riguardano tanto l’aspetto filosofico della sua dottrina, ampiamente rivalutata negli ultimi anni in molti paesi dell’Asia, quanto della sua reale appartenenza alla sfera religiosa.
Qualche anno fa decisi di visitare la città natale di Cnfucio, Qufu nella provincia cinese dello Shandong, dove si trovano il più grande tempio confuciano del mondo e la casa natale del Maestro, trasformata essa stessa in un tempio. Ne tornai profondamente deluso, avendo trovato il tutto assolutamente glaciale e senz’anima, grandi padiglioni freddi, statue polverose, alcuni strumenti musicali rituali antichi e soprattutto centinaia di tavolette votive incise e stele issate su dorsi di tartaruga.
Tutti questi ingredienti mi avrebbero aspettato, leggendo quanto scrivevano le guide, anche in questo vasto complesso di Hanoi che, a differenza di quanto avvenuto in Cina, parrebbe non aver perso con il tempo e con l’alternarsi di guerre e rivoluzioni la sua anima antica.
Il Van Mieu o Quoc Tu Giam (Scuola per i figli della Nazione) come viene anche chiamato, è un complesso di grandi dimensioni (è lungo 350 metri) circondato da mura che lo proteggono dal “mondo”. La presenza di autobus e comitive vocianti con guida non è mai un indizio di atmosfera spirituale e davanti all’ingresso è proprio quello che noto. Venditori di guide e souvenir ti assaltano appena ti presenti al cancello e riesci a fendere i gruppi di vietnamiti in gita che ridono e schiamazzano. Se questa è l’atmosfera che i locali amano, mi chiedo, quale diritto ho io, che vengo da lontano e nulla conosco di questo mondo, di aspettarmi o richiedere qualcosa di diverso?
Da tempo ho imparato che gli atteggiamenti austeri e contriti legati a un luogo di fede, che ci vengono dalla nostra educazione cattolica, mal sia addicono alla mentalità orientale e quindi dovrei passar sopra a tutto ciò. Ma non è tanto il rumore a disturbarmi quanto un contesto “stile vecchio museo”, forse pregno di un senso di devozione diversa, oppure come è probabile, semplicemente privo di devozione.
C’è pero da tenere in considerazione anche il fatto che che i vietnamiti sono uno dei popoli più alfabetizzati del mondo e che per loro la letteratura è quindi una specie di religione.
In questo luogo per secoli venivano formati i quadri di quella che era la rigorosa amministrazione pubblica vietnamita, organizzata sul modello cinese e istruita attraverso un durissimo percorso di esami, basati in gran parte sulla perfetta conoscenza del canone confuciano.
Ricordo d’aver visto a Nanchino la ricostruzione di alcuni cubicoli in cui gli esaminandi venivano rinchiusi durante le annuali sessioni di esami, vere e proprie celle dove era loro portato un misero pasto. Immagino allora questo luogo nei suoi anni di gloria, che sono stati molti, essendo stato fondato nel 1070, data che ne fa uno dei più antichi siti religiosi ancora attivi in Vietnam. Forse allora c’era silenzio, forse allora quella tensione e quella concentrazione che oggi sono impossibili da percepire si potevano captare nell’aria, perché non superare questi esami significava non solo rinunciare a una vita ricca di privilegi ma soprattutto infangare l’onore della famiglia che spesso aveva nel “mandarinato” una fonte di reddito costante.
Questo luogo fu anche un’Accademia Confuciana, così come la volle nel 1076 il sovrano della dinastia Ly, Nanh Tong. Allora l’accesso era molto selezionato e fu solo nel 1484 che tutti gli studenti meritevoli del regno potevano tentarne l’accesso.
L’atteggiamento più adatto dunque per accostare questo luogo non dovrebbe essere tanto la devozione quanto la fede nella concentrazione e nella costante volontà di apprendimento, doti che nella nostra società sono persino più rare che la quasi defunta devozione!
Passo oltre la prima porta che mi accoglie con un messaggio chiaro: “Tra tutte le dottrine del mondo la nostra è la migliore e la più venerata da tutti i paesi affamati di cultura.”.
L’iscrizione in ideogrammi cinesi ha un singolare riferimento a questa “fame” di cultura di cui questo luogo fu un tempo santuario e che appare un poco perduta.
Ragazze nel tradizionale abito vietnamita di un vistoso color fucsia, studentesse probabilmente, sostano davanti alla porta intente a fotografarsi. Questo è il tributo che si paga alla nuova cultura dell’istante. Chiedo di poterle fotografare, sorridono e si mettono in posa, chiedendomi poi di ricambiare il favore facendomi fotografare con alcune di loro.

Malgrado questo esordio abbastanza chiassoso il primo dei cinque cortili di cui è composto il tempio è abbastanza tranquillo, attraversato sul suo asse principale da un viale lastricato la cui percorrenza era riservata in passato al solo imperatore.
Seguendolo si incontra una seconda porta, Dai Trung Mon, la Grande Porta di Mezzo, fiancheggiata ai due lati da porte minori che, come spesso accade nel modo di cultura cinese, hanno nomi alquanto poetici ed evocativi: quella di destra si chiama infatti Porta della Virtù Consegnata; quella di sinistra inneggi invece al Talento Conseguito.
Talento e virtù: due valori confuciani importanti che questo luogo letteralmente “consegnava” ai diplomati. Era loro compito portarli nel regno e farne le basi della società. E se la virtù veniva simbolicamente consegnata, il talento non si possedeva per natura ma doveva essere conseguito con dura e costante fatica.
Nessuna parola è a caso nel tempio della cultura!
Il secondo cortile, Cortile di Mezzo, ha un che di interlocutorio, un passaggio segnato da due piccole vasche, quasi una zona di decantazione che introduce alla parte più significativa del tempio.
Una porta chiamata Costellazione della Letteratura (Khue Van Lac) immette infatti nel cosiddetto Cortile delle Stele. Perché questo semplice edificio a due piani, costruito nel 1802, si chiami Costellazione della Letteratura è difficile comprenderlo a prima vista. Bisogna allora considerare i quattro grandi cerchi delle finestre del piano superiore come altrettanti simboli solari, astrazioni del valore illuminante della letteratura, sempre intesa come conoscenza confuciana. Sono quattro soli che illuminano le quattro direzioni, dove questo sguardo che tutto accoglie è da intendere come un simbolo di totalità e universalità. Ricordo le parole scritte sulla porta d’ingresso: … tra tutte le dottrine del mondo!
Emerge qui, ancora una volta, il debito culturale che il Vietnam paga alla Cina: nessun paese ha mai posseduto il senso di centralità persino nel proprio nome come la Cina, che in cinese si chiama, è bene ricordarlo, il Paese di Mezzo! Quello che si trova oltre questa porta è, di fatto un immersione nel mondo cinese e al suo culto per la stele votiva. Incisi sulle pietre, tavole rettangolari infilate in modo simbolico nel guscio di una onnipresente tartaruga, simbolo di saggezza e longevità, si trovano nome, luogo di nascita, età, di 1306 meritevoli diplomati in questa accademia. Sono, come la tartaruga testimonia, consegnati alla memoria imperitura del mondo e nulla potrà mai cancellare il “talento conseguito” tra queste mura. Non ci sono riusciti neppure i francesi o gli americani con le loro bombe, perché a qualcuno, evidentemente illuminato dai soli della Costellazione della Letteratura, venne in mente di nascondere le stele interrandole in modo che non venissero distrutte. Peccato che questo qualcuno illuminato non fosse più presente quando a guerra conclusa il tempio venne riaperto e si dovette attendere fino al 1993 per vederle ricomparire ed essere disposte, in modo molto confuciano, in otto padiglioni appositamente ricostruiti. Per chi ha visto le impressionanti raccolte di stele di Qufu o Xian questi otto padiglioni fanno quasi tenerezza, ma sono comunque di grande valore documentario e sociale.
E’ interessante notare che gli invasori cinesi e mongoli che condividevano la stessa matrice culturale preservarono intatto questo luogo, riconoscendone la sacralità assoluta, superiore persino a quella dovuta a divinità di derivazione taoista o buddista. Noi non sentiamo alcun fremito sacro passeggiando per questo cortile e preferiamo, alla venerazione delle pietre incise con nomi di meritevoli immortali, la semplice serenità della vasca che si trova al centro del cortile che porta il ben augurante nome di Thien Quang Tinh, ovvero Pozzo della Celeste Chiarezza. Se qualcosa di soprannaturale esisteva in questo luogo, una Celeste Chiarezza, essa veniva non certo da divine concessione ma da quotidiano studio e applicazione che, come si attinge l’acqua da un pozzo, potevano essere prelevate dal patrimonio di conoscenze depositato in questo luogo nei secoli.
E’ solo dopo aver varcato la Porta della Grande Sintesi (Dai Thanh Mon) che si può dunque accedere al Cortile dei Saggi, quello in cui si venera realmente il Maestro Confucio, artefice di certo inconsapevole di tutta questa speculazione fatta spazio. Tanta saggezza accumulata sembra oggi essersi dissipata nella serie di negozi di souvenir che hanno occupato spazi un tempo riservati a più nobili scopi.
Ma la praticità, la capacità di realizzare il massimo profitto da quanto si possiede, è a sua volta una virtù per il mondo che deriva dalla sfera culturale cinese, quindi anche questa conversione potrebbe anche non essere poi troppo scandalosa.
Un albero e una panca ombreggiata possono servire da punto di osservazione per questo Cortile, certamente il più bello dal punto di vista monumentale, chiuso sui due lati minori dagli edifici oggi commerciali e sul lato maggiore, proprio di fronte alla Porta della grande Sintesi, dai bassi edifici della Grande Casa delle Cerimonie (Dai Duong) seguita dal vero e proprio Santuario di Confucio.
Lo stile sobrio ed elegante tipico dei templi confuciani cinesi si ritrova in questi edifici scanditi su nove campate segnate da colonne di color rosso dove si colgono gli unici veri segni di una minima devozione. Il primo segno che si pone a metà strada tra devozione e superstizione è l’accarezzare il petto della slanciata statua della Fenice che si trova accanto al piccolo altare dove sono disposte alcune stele sacre. Nessuno si sottrae, neppure i turisti e i visitatori occidentali che saggiamente decidono che assoggettarsi, se non altro per farne una foto ricordo, a un gesto che porta fortuna non ha alcuna controindicazione. Cosicché il superbo animale, simbolo della virtù femminile e per traslazione delle donne imperiali, appare sempre dignitosa pur con il petto segnato dai continui sfregamenti.

Il secondo, che non ci saremmo aspettati di vedere, è invece un tributo davvero religioso alla statua del Maestro di Diecimila Generazioni (così i cinesi chiamavamo il grande filosofo). Vi si dispongono incensi e vi si fanno inchini a mani giunte, come se si trattasse di un Buddha o di una turbolenta entità del pantheon locale. Un tempo, come indica anche il nome (Grande Casa delle Cerimonie), vi si svolgevano gli elaborati riti basati in gran parte su rarefatte musiche ottenute da campane, tamburi e flauti di varie dimensioni, che un gruppo di ragazze in costume tradizionale cerca di riprodurre in un padiglione successivo senza però ottenere troppo credito da parte dei visitatori anche perché la temperatura nella sala destinata alle loro performances è abbastanza insostenibile.
L’ultima parte del Tempio è invece totalmente ricostruita. Sul Quinto Cortile (Khai Thanh) si affacciano oggi due padiglioni destinati a museo. I padiglioni originari furono distrutti dai francesi e nella ricostruzione si è deciso di dedicare queste due costruzioni, stilisticamente omogenee alle precedenti, parte al culto di alcuni re vietnamiti, parte a museo. Si può anche salire al piano superiore di uno dei due padiglioni e avere una bella vista sui tetti del complesso, che nella più pura tradizione cinese, si susseguono lungo l’asse centrale, quasi annullandosi l’uno nell’altro per effetto prospettico. Gironzoliamo un po’ tra questi cimeli un po’ casuali, statue di bronzo di sovrani e maestri del passato, ricostruzioni e antiche pergamene, avvertendo però un senso di ancor maggior distacco dalle origini rispetto alla già compromessa atmosfera dei padiglioni precedenti.
Non è possibile ricostruire la sensazione del passato, nemmeno immaginarsi i giovani studiosi, sfilare incolonnati per questi luoghi, disporsi chini su bassi banchi alla copiatura in preziosa calligrafia dei sacri testi, impegnati, come succede di ascoltare oggi da certi monaci tibetani o in certe madrase del mondo islamico, nella recitazione di formule e pensieri profondi diventati norma.
Qualcosa si è perso e nessuno al mondo guarda più a questo luogo perché questa non è più “la dottrina più venerata” al mondo. Altre dottrine si sono sovrapposte, quella comunista, quella capitalista, eppure è curioso vedere come ci siano ancora vietnamiti, anche giovani, soprattutto giovani, che non hanno pudore di accendere un bastoncino d’incenso davanti all’effige di Confucio, di inchinarsi davanti alla sua saggezza di diecimila anni.

OGNI ARTICOLO DIVENTA UN VIAGGIO! SE SEI INTERESSATO A ORGANIZZARE UN VIAGGIO SUI TEMI TRATTATI DA CITYPILGRIMBLOG LEGGI QUI
3 commenti