Nanzen-ji: Immaginarsi una tigre a Kyoto

Il post di oggi è un estratto dal mio libro Lo Spirito di Kyoto. Ha come focus la contemplazione del simbolo nei giardini zen del Giappone e la nostra incapacità di andare oltre le apparenze, cosa che invece questa scuola buddista insegna a fare!

L’approccio al Nanzen- ji  (tempio: Ji; meridionale: Nan; dell’Illuminazione: Zen) è molto sommesso, anzi, se non se ne conoscesse la storia, si farebbe fatica a pensare questo luogo come uno dei fari religiosi di Kyoto. La sua grande porta, che si chiama come in molti templi Sanmon, Porta (mon) della Montagna (san), a ricordo di antiche denominazioni cinesi, sorge isolata nel bosco in cui si trovano i numerosi templi che costituiscono il piccolo mondo del Nanzen-ji. Se le porte monumentali sono un simbolo, un segnale di potenza, e allora si capisce come questo tempio sia stato e continui a essere un luogo di grande importanza spirituale. Doveva essere un luogo davvero idilliaco il Nanzen-ji degli anni d’oro, ma come spesso avviene in Giappone le cose belle hanno vita breve e anche la sua gloria venne spazzata via, incendiato una prima volta dai monaci rivali della setta Tendai nel 1393 e poi di nuovo durante le successive guerre civili. Dei 62 templi originali oggi ne rimangono solo 13 e gli edifici attuali risalgono in gran parte al XVII secolo.

Nanzen-ji garden
Nanzen-ji, exterior view from the garden, Kyoto, Japan ph Maria Lecis

Mi dirigo verso Est, incontrando un tranquillo padiglione, dedicato, secondo la più classica disposizione dei monasteri Zen, a Buddha Sakyamuni. Procedendo, sulla destra, trovo l’ingresso al luogo più famoso del Nanzen, l’Hojo Garden, il Giardino dell’Abate. Tolgo le scarpe, pago il biglietto, consegno lo Shuin-cho, e percorro un corridoio, affiancato da ambienti spogli e in penombra, che termina in un vero lago di luce: il giardino secco su cui si affaccia l’antica residenza dell’abate (Hojo).  Quale che sia la vostra opinione sui giardini zen, non si può che restare ammirati per questa opera che interagisce in modo non casuale con il verde delle colline che fanno da sfondo. Nello Zen tutto sembra spontaneo ma in realtà tutto è costruito per comporsi in un insieme perfetto. Guardo con ammirazione questa residenza, un ambiente molto semplice, diviso in vani da pannelli scorrevoli meravigliosamente dipinti e circondato su tre lati da giardini. Un pensiero molto laico mi sfiora la mente, un pensiero di subdola invidia per questi abati che amavano circondarsi di bellezza (come del resto facevano gli abati di monasteri a noi più vicini…). Tuttavia non posso ancora una volta domandarmi se il rigido Eisai, il fondatore della scuola zen Rinzai, avrebbe approvato questa diffusa eleganza. Poi inizio a pensare alle tigri.

Nanzen ji
Prayer Hall at Nanzen-ji, ph. Maria Lecis

Avevo infatti letto che nell’Hojo se ne trovano di due tipi.  Trovo la prima, quella dipinta, su un pannello scorrevole che costituisce lo sfondo della sala da preghiera e, ancor più protagonista, sui meravigliosi pannelli, capolavori del maestro Kano Tamyu del periodo Momoyama (XVI sec), che decorano gli ambienti che si affacciano su un giardino minore, sul lato est dell’Hojo. La seconda tigre, invece quella celata in un masso, la posso solo immaginare, concentrandomi sulla forma della prima pietra a sinistra nel giardino. Dicono che l’ingenuità dell’approccio sia il segreto per comprenderne il senso. Solo ai bambini e ai poeti è concesso di vedere meraviglie in una roccia come pure negli ammassi delle nuvole: lo Zen, proponendoci queste sfide, non vuole fare di noi dei fini teologi ma dei liberi sognatori. Ecco perché, mi dico, se voglio vedere una tigre, la vedrò. L’ingenuità pare funzionare, ma, dopo due secondi, già mi pare di non essere del tutto convinto della realtà e della spontaneità di questa esperienza. Eccolo, dunque il conflitto tra logica e intuizione, il vero fossato che bisogna saltare per essere davvero “Zen”, aldilà di avere una casa con mobili minimalisti, accendere incensi profumati o saper disporre i fiori con cura su mensole!  E’ tipico della scuola zen Rinzai, la più diffusa qui a Kyoto, porre ai suoi adepti terrificanti koan, situazioni o domande apparentemente senza senso. Affrontare uno di questi paradossi è un esercizio impossibile per noi occidentali. Per questo, osservando questo giardino, mi sembra di trovarmi a risolvere un koan visivo. Ci si può lanciare in mille interpretazioni o vederci quello che si vuol vedere, ma solo quando la nostra mentre raggiungerà la sua essenza, senza ragionamenti o costruzioni mentali, avremo trovato la sua soluzione e vedremo davvero una tigre balzare dalla pietra e librarsi nell’aria.

rock garden nanzen-ji
Zen Garden at Nanzen-ji, Kyoto, Japan ph Maria Lecis

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